Finanza e genocidio

FONTE Facebook 11-5-25
Alessandro Volpi
Con una nota redazionale sui criteri ESG da adottare per la valutazione dei piani di finanziamenti alle imprese.

Finanza e genocidio. E’ noto che una parte dei risparmi mondiali, soprattutto in “Occidente”, è indirizzata da grandi società di consulenza, il cui compito è quello di valutare non solo la redditività ma anche l’eticità degli investimenti verso cui indirizzare tali risparmi. In altre parole, per poter qualificare come “etici” gli investimenti, esistono alcuni parametri definiti proprio da queste grandi società: tra tali parametri figurano la violazione dei diritti umani, l’uccisione delle popolazioni, il blocco degli aiuti. In altre parole, le imprese, le banche e altri soggetti finanziari che hanno a che fare con tali crimini non possono ricevere finanziamenti “etici”. Il fatto davvero gravissimo è costituito dalla decisione di alcune di queste società di valutazione come Morgan Stanley e Morningstar di rimuovere molti di tali crimini dalla lista delle “violazioni etiche” per continuare a indirizzare il risparmio gestito verso il finanziamento di imprese e banche israeliane. Si è trattato, in pratica, di cancellare quanto avviene a Gaza, derubricandolo a operazioni ordinarie, per mantenere il bollino etico ad investimenti altrimenti non più possibili. Con buona pace della convinzione di chi si affida ai criteri Esg per avere la coscienza a posto. Che amarezza.

Alessandro Volpi 11-5-25


ESG (Environmental, Social, Governance)

I criteri ESG (Environmental, Social, Governance) sono parametri utilizzati per valutare la sostenibilità e l’impatto etico di un’impresa. Questi criteri vengono sempre più adottati nel settore finanziario per determinare l’accesso ai finanziamenti e agli investimenti a condizioni agevolate2.

Ecco una panoramica dei tre pilastri ESG:

  • Ambientale (Environmental): riguarda l’impatto dell’azienda sull’ambiente, inclusa la gestione delle risorse naturali, la riduzione delle emissioni e la transizione energetica.
  • Sociale (Social): si riferisce alle condizioni di lavoro, l’inclusione, il rispetto dei diritti umani e il coinvolgimento nelle comunità locali.
  • Governance (Governance): comprende la trasparenza nella gestione aziendale, le politiche anti-corruzione e la struttura di controllo interno.

Le imprese che integrano i criteri ESG nelle loro strategie possono ottenere vantaggi finanziari, come tassi d’interesse agevolati, accesso semplificato al credito e priorità nell’assegnazione di fondi pubblici e comunitari. Inoltre, un buon rating ESG può migliorare la reputazione aziendale e attrarre investitori interessati alla sostenibilità.


FONTE Facebook 11-5-25 Alessandro Volpi Con una nota redazionale sui criteri ESG da adottare per la valutazione dei piani di finanziamenti alle imprese.

IL DIVINO GIULIVO

L’attacco continuo delle destre agli intellettuali “sinistri” e “sinistrati” assume toni sempre più farseschi.
Riportiamo di seguito alcuni interventi su Facebook che denunciano la campagna in corso.
FONTE Facebook Enrico Rossi 10-5-25
FONTE Facebook Pierluigi Sullo 10-5-25
TITOLI REDAZIONALI

L’opera buffa al Niccolini

Enrico Rossi

Buongiorno.
Al teatro Niccolini di Firenze si sono adunati per parlare di cultura i fratelli d’Italia.
È già questa affermazione ha un vago sapore di ossimoro, di un accostamento incongruente.
A due passi dal duomo di Firenze, nelle strade dove i partigiani combatterono contro i nazifascisti per liberare la città, sui marciapiedi dove sono incastonate le pietre di inciampo per ricordare le vittime della deportazione nei campi di sterminio, gli eredi di Mussolini e di Almirante hanno messo in mostra il loro revanscismo, il loro desiderio di rivincita sulla cultura democratica e antifascista.
Hanno iniziato, per preparare l’evento, qualche settimana fa, chiedendo di intitolare una strada al filosofo Giovanni Gentile: un intellettuale di primo piano del Novecento ma anche “filosofo del fascismo”, aderente alla Repubblica Sociale, che non si dissociò mai dalle leggi razziali e dai crimini del regime.
L’operazione non è riuscita per la giusta e ferma opposizione della sindaca, Sara Funaro, e del centro sinistra che governa la città.
Ma i fratelli d’Italia sono andati avanti ugualmente, affidandosi, con grande sprezzo del pericolo, all’intervento del ministro della cultura Alessandro Giuli.
Egli, in nome della “pacificazione” e della rivalutazione della identità culturale nazionale ha prima criticato la scelta del Comune e poi si è scatenato in una serie di attacchi funamboleschi e sguaiati ad esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo.
Nel mirino sono finiti, con nome e cognome: l’ intellettuale Tommaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena -rimosso dall’incarico di presidente della Fondazione Ginori per essere un avversario di questo governo-; l’attore Elio Germano, per avere interpretato magistralmente Enrico Berlinguer e averne rilanciato la figura col film “La grande ambizione”; e la comica Geppi Cucciari per avere ironizzato sull’oratoria prolissa e arzigogolata del ministro.
Alessandro Giuli, è un intellettuale della nuova destra, conservatore, revisionista e post fascista che propone una lettura della storia d’Italia intenzionata a ridurre le differenze tra fascismo e antifascismo nel nome di una cultura nazional-identitaria, egemone e alternativa a quella antifascista e democratica che ha caratterizzato dal dopoguerra gran parte della cultura italiana.
In realtà si può stare tranquilli.
I discorsi acrobatici ed esibizionistici del ministro Giuli e i suoi viaggi al Vittoriale per rendere omaggio a D’Annunzio, vate nazionale e precursore del fascismo, non otterranno grandi effetti sulla cultura italiana e sull’opinione pubblica.
Purtroppo, molto più danno ha fatto invece la separazione, per responsabilità della sinistra, tra la politica e gli intellettuali e la cultura in generale. Ed è su questo che bisognerebbe lavorare, con pazienza e tempi lunghi, per costruire il rinnovamento reale del Paese.
Dell’evento fiorentino, è degno di nota soprattutto l’intervento di Ignazio Benito La Russa, Presidente del Senato e seconda carica dello Stato, il quale ha invitato a disertare il voto per i referendum sul lavoro e sulla cittadinanza.
Anzi, in posa da eroe, ha proprio detto che lui farà propaganda per l’astensionismo.
Verrebbe quasi da ringraziarlo e da sperare che sia coerente con i suoi annunci e non perda giorno per invitare gli italiani a restare a casa.
Sono sicuro che ne trarrà vantaggio la nostra campagna referendaria e che, anche grazie a La Russa, una valanga di italiani si convincerà della necessità di votare.
Enrico Rossi 10-5-25


Pierluigi Sullo

Il ministro della cultura, diciamo così, Giuli, quello che veste come un elegantone del 1910, ha detto che “la sinistra” non ha più intellettuali, solo comici. Ce l’aveva in particolare con Elio Germano, uno tra i migliori attori italiani. Ora, tutti a dire “ma al governo non ci sono mica i fascisti, sono un’altra cosa”. Sarà vero, ma cosa c’è di più fascista per il disprezzo nei confronti degli intellettuali? E poi da che pulpito: Giuli sarebbe un adoratore del sole, un pagano, proprio come i nazisti negli anni trenta. Perciò, più che fascisti al governo, si dovrebbe parlare di nazisti al governo.
Dopo di che, tutto dipende da cosa intenda il ministro per “sinistra”. Se si tratta del Pd e dintorni, si sbaglia, lì nessuno fa il comico, sono tutti tristi e ripetitivi. Quasi tutti, Pierluigi Bersani è molto spiritoso. E quanto agli intellettuali “di sinistra” intesi come docenti e simili, c’è il precedente del giuramento al regime, negli anni trenta, quando tutti, o quasi, giurarono, e quindi il trasformismo e la viltà non sono una novità.
Però ci sono, oltre agli attori, molti scrittori non comici e anzi drammatici che forse non sono di sinistra in quel senso, ma certo sono avversari del neoregime e dei ministri arroganti e ignoranti, e quasi sempre tragicamente comici, come Giuli, Lollobrigida, Valditara (secondo cui nelle scuole si deve insegnare solo la storia dell’occidente, non essendo affatto chiaro cosa sia, l'”occidente”), il ministro ambientalnucleare e così via (non cito Salvini e il celebre chiodo perché è troppo facile).
Per fortuna in Italia si possono ancora fare film come quelli che Elio Germano interpreta magnificamente. E ricorderei a Giuli, che non sa nulla, che un “comico” indubbiamente di sinistra ha vinto il Premio Nobel per la letteratura, si chiamava Dario Fo.
Pierluigi Sullo 10-5-25


L’attacco continuo delle destre agli intellettuali “sinistri” e “sinistrati” assume toni sempre più farseschi. Riportiamo di seguito alcuni interventi su Facebook che denunciano la campagna in corso. FONTE Facebook Enrico Rossi 10-5-25 FONTE Facebook Pierluigi Sullo 10-5-25 TITOLI REDAZIONALI

La bella e la bestia

FONTE Facebook 9-5-25
Lorenzo Tosa
TITOLI redazionali

quando la bestia non diventerà mai principe

Ci ha dovuto pensare Geppi Cucciari, una comica, per fare quello che in un Paese appena decente avrebbe dovuto fare il Presidente del Senato: sensibilizzare i cittadini italiani – e i giovani in particolare – sul diritto e dovere di andare a votare.
Lo ha fatto con un monologo semplicemente straordinario ad “Amici” sul Referendum e sul senso stesso della democrazia.
Che è anche la risposta più bella, giusta, potente che si potesse dare a Ignazio Benito Maria La Russa.
“Su qualsisia argomento abbiamo le idee chiarissime. Poi ci capita di dover uscire di casa per votare per qualcosa di importante e ci asteniamo.
Vi chiedo: chi ha visto il film Paola Cortellesi ‘C’è ancora domani?’ Quasi tutti fortunatamente. Era il 1946, l’Italia usciva da un periodo che secondo qualcuno ha fatto ‘cose buone’, ma non fatevi fregare: non ha fatto cose buone.
Quando fu scritta la Costituzione un senatore disse che le donne non potevano giudicare anche per motivi fisiologici, ovvero il ciclo. Adesso… non è vero, ma se anche fosse vero, voi uomini per non capire una mazza che scusa avete? E poi: da quando c’è la Democrazia noi donne finalmente possiamo votare, schierarci, destra, sinistra, centro.
Ecco, la democrazia è come un condominio, spesso hai vicini insopportabili, un casino, ma almeno non c’è un prepotente che decide per tutti. Anche non votare è una scelta, però è più una questione di principio, sotto la bandiera tricolore a volte sembra esserci un motto ‘Fatti i ca**i tuoi’, ma se te li fai sempre e comunque prima o poi qualcuno si farà i tuoi e deciderà al posto tuo: su cose piccole, medie e grandi.
Per questo, siccome siete quelli del futuro, dite la vostra senza paura. Affermate che potete farlo, ne avete diritto. In un mondo di conoscenti e di impiegati della democrazia, siate folli e siate amici”.
Immensa.
Se fossi in La Russa, dopo un discorso del genere, non mi farei vedere fino al 10 giugno. E possibilmente oltre.


FONTE Facebook 9-5-25 Lorenzo Tosa TITOLI redazionali

le magnifiche sorti e progressive

FONTE Facebook Sandra Vegni 4-5-25
IMMAGINE e TITOLI REDAZIONALI

Ahi serva Europa di dolore ostello

Riflessione del 4 maggio da parte di un’anziana donna scoraggiata
L’uomo dal ciuffo biondo e dal culo di gallina al posto della bocca (così chi non se la sente d’inchinarsi per baciarlo di dietro, può farlo orgogliosamente di fronte, con lo stesso risultato) ha ottenuto quello cui mirava: lo sfruttamento delle terre rare in Ucraina; ora non gli resta che aspettare che la striscia di Gaza sia liberata da quei fastidiosi mosconi in veste di palestinesi che si ostinano ad occuparla e può allegramente disinteressarsi di quello che combineranno gli europei, sempre che – ovviamente – mantengano la promessa di 50 miliardi di importazioni in più dal suo paese che, com’è noto, finora è stato sfruttato ignobilmente dai comunitari. Non lo faranno Papa ma, a questo ci arriva anche da solo, se ne farà una ragione. Non faranno Papa neanche il suo cardinale di riferimento, quello che dovrebbe ‘fare il lavoro’, e questa non è una bella cosa ma… sarà per la prossima volta.
Finiranno infatti, gli europeidioti, a darsele fra di loro con armi americane e questo aprirà un bel mercato.
Perché gli europei, diciamo la verità, son millenni che se la danno con alterne vicende; senza arrivare all’impero romano e alle successive orde barbariche scese fino a Roma, gli spagnoli se le davano con la Francia, la Francia con l’Inghilterra, la Prussia stava in mezzo e andava un po’ qua e un po’ là. L’Italia non esisteva. ‘Franza e Spagna purché se magna’ dicevano gli italici, anche se più della metà stavano fra il Papato e l’impero austro ungarico, e forse non avevano torto. Poi si sono uniti e da lì è iniziata un’altra storia, non sempre gloriosa. Gli zar si allargavano fuori dal loro cortile (peraltro assai ampio ma poco appetibile di là dagli Urali, vuoi mettere al di qua!) verso i Balcani e la Scandinavia. La Russia deve essere considerata europea, che ci piaccia o meno: alla corte la lingua ufficiale era il francese e la costruzione di San Pietroburgo è stata affidata a un architetto italiano, poco noto in patria (che peraltro ancora non esisteva) ma molto stimato dall’aristocrazia russa.
Le influenze e le espansioni andavano e venivano, come le onde del mare; in Alsazia e Lorena non lo sapevano neanche gli abitanti se dovevano considerarsi francesi o tedeschi. Di fatto, se francesi e tedeschi sono arrivati fino alla periferia di Mosca, i Russi non sono mai arrivati a Parigi. A Berlino sì, ma ricacciando indietro gli invasori. Che poi Berlino l’hanno resa ai tedeschi, senza colpo ferire. Certo, Gorbacev ed Eltsin (molto amato dagli americani e incerto fino all’ultimo se il whiskey fosse meglio della vodka) non erano Putin. E su questo non c’è dubbio. Ma che, con oltre 20 milioni di morti, i russi abbiano contribuito a vincere la seconda guerra mondiale, non ci sono altrettanti dubbi. Sono stati anche i primi ad entrare ad Auschwitz e a constatare che era peggio dei loro gulag siberiani, anche se Benigni non è d’accordo. E che ora Zelensky, forte della recente ed effimera amicizia con il biondo in epigrafe, minacci chiunque osi festeggiare sulla piazza rossa, mi sembra un tantino esagerato. L’altro, il nemico degli europei, non l’ha presa bene. Francamente, non l’avrei presa bene neanche io, nei suoi panni. Il biondo se la ride e conta i soldi di una bella ricostruzione su ampia scala, mentre io rabbrividisco. Che 80 anni di pace siano un tantinello troppi? La Storia (quella del passato che si può guardare con una certa obiettività) ce lo dovrebbe insegnare. Invece no. Non preparerò lo zainetto con le medicine e le scatolette per 72 ore perché non m’interessa sopravvivere sulle macerie del ‘mio’ mondo.
Fine dell’analisi scolastica di una ex liceale molto datata.
Un bel pippone, ma avevo bisogno di farlo. Per me stessa e per i superstiti, se ce ne saranno. Perché questa diavoleria di internet ci sopravviverà, di sicuro.

Donald the Pope

da Facebook

No, non è uno scherzo.
Questa foto di Donald Trump travestito da Papa con l’intelligenza artificiale è davvero appena comparsa sulla pagina ufficiale della Casa Bianca e sulla sua pagina personale.
Il tutto a 24 ore dalle sue dichiarazioni lunari: “Vorrei diventare Papa. Sarebbe la mia prima scelta. Penso che sarei un grande Papa. Nessuno lo farebbe meglio di me”.
Non è solo il delirio social di un megalomane fuori controllo.
Non è solo uno sfregio verso il mondo cristiano-cattolico di cui si auto-proclama campione e rappresentante.
È anche un modo per dire al mondo che Trump ha appena messo le mani sul Conclave coi suoi dieci cardinali americani e che non resterà a guardare inerme l’elezione di un nuovo Bergoglio, di uno Zuppi, di un progressista.
Questa immagine è molto, ma molto più seria del personaggio che ritrae. E altrettanto pericolosa.

Non importa grattare, il sudicio riaffiora lo stesso

FONTE Facebook 26-4-25 Giberto Gnisci ripropone un post di Leonardo Cecchi
TITOLO redazionale

Meloni impazzita. Ferocissima e stracolma di bile si scaglia contro Guccini. Non aspettava altro che l’occasione giusta.
Il motivo? Perché Guccini ha rivisitato Bella Ciao mettendocela dentro. Anzi, associando i fascisti ad alcuni suoi seguaci. E lei si è imbestialita. Imbestialita.
No no, non ci sta. Perché evidentemente la Meloni non vuole passare per fascista. Ma figurarsi. E come darle torto?
L’ha dimostrato bene ieri, quando alla Camera tutti i deputati si sono alzati ad applaudire per commemorare il 25 aprile. E i suoi sono rimasti seduti.
L’ha dimostrato bene oggi, non spendendo una parola (una) sul 25 aprile, che è festa nazionale, riuscendo in questo a farsi battere persino da Salvini.
Lo dimostra bene il suo braccio destro e sodale Ignazio La Russa, che prima ha proposto di abolire la stretta di mano per tornare al saluto fascista per poi proporre di “cambiare” il 25 aprile perché “divisivo”.
Lo dimostrano bene i suoi alleati internazionali come Orban, che chiudono i parlamenti e chiedono pieni poteri.
Lo dimostrano i suoi dirigenti locali, che ogni tre per due organizzano cene in onore di Mussolini o vanno in giro gridando di “avere il diritto di dirsi fascisti”.
Quindi la capiamo bene la Meloni.
E non capiamo come Guccini possa così assurdamente aver accostato il suo partito al fascismo.
Nella stessa maniera in cui non capiamo (davvero) come lei faccia a non perdere occasione per tacere per rispetto della sua stessa dignità.
Leonardo Cecchi

Il papa della complessità

FONTE Facebook Pierluigi Fagan 25-4-25
TITOLO REDAZIONALE

SI POTREBBE TUTTI QUANTI ANDARE AL TUO FUNERALE…

(Passata la tempesta dei primi commenti me ne permetto uno anche io) Pierluigi Fagan

Franceso I era a capo di una comunità di credenti di circa 1,4 mld di persone. Distribuita nei vari paesi del mondo, anche quando non fa maggioranza assoluta lo è spesso relativa o è minoranza qualificata. Socialmente, culturalmente e quindi politicamente, ripartita per stati e società questa comunità pesa più della sua stretta numerica. In più, Francesco I veniva dal Sud America, guardava spesso all’Asia (e la Cina, vecchio pallino gesuita) e curava la penetrazione della sua Chiesa in Africa. In ottimi rapporti con l’area ortodossa, meno con la protestante (non tanto con gli anglicani ma con le sette americane), meno ancora con l’area ebraica, equilibrato nelle relazioni con l’islam a differenza del suo predecessore.
Insomma, possiamo pesare la sua influenza diretta e indiretta, come leader culturale di opinione, come influente per l’immagine di mondo, almeno al doppio della sua stretta area di credenza, il che ne ha fatto -sotto questo punto di vista- l’individuo più importante in senso globale e di gran lunga.
La maggioranza votante Bergoglio al Conclave condivideva se non altro l’idea generale che l’istituzione che dovrebbe curare ma anche espandere la credenza, dovendo guardare al presente ma anche il futuro del mondo, non poteva che constatare la contrazione di peso degli occidentali e l’espansione enorme dell’Africa ed il peso altrettanto enorme dell’Asia. Assieme al Sud America, queste tre aree pesano oggi l’85% del mondo, l’88% nel 2050. Non credo che queste considerazioni scompaiano come riferimento per l’elezione del successore, al di là del fatto che poi la “missione” può essere espletata in molti modi e diversi equilibri tra la cura dell’esterno e quella dell’intero della Chiesa, una vocazione “internazionalista” rimarrà base per la scelta del successore.
La struttura dell’opinione tra Bergoglio e la grande area di chi, direttamente o indirettamente, ha risentito della sua influenza culturale, è quindi immensa e variegata. Da cui la pluralità di giudizi, sentimenti, interpretazioni. Il primo discrimine che si può fare è tra chi è interno a quella credenza o altra credenza spirituale e chi no.
Molti laici, non credenti, agnostici o atei (categorie di malferma definizione visto che spesso sono state date dai credenti), hanno apprezzato il profilo culturale di Bergoglio. Ricordo che Bergoglio era gesuita, il primo papa gesuita (ordine nato nel 1540, da sempre discusso dentro la Chiesa), l’ordine la cui missione principale è proprio il ruolo di corpo diplomatico culturale rivolto al mondo non espressamente cattolico. Ma anche qua, se ne possono dire di tutti colori a seconda dell’ideologia professata o del peso che si dà a certe cose, dall’entusiasmo per il suo terzomondismo anticapitalista e tendenzialmente egalitario ed ecologista ai mal di pancia di chi ne ha censurato altri aspetti.
Dal mio punto di vista, di studioso delle immagini di mondo che si occupa più spesso della struttura del “come” pensiamo che non del “cosa” pensiamo, Bergoglio era un alleato per la promozione della cultura della complessità, il che -in assoluto ma di questi tempi in particolare- era ed è una rarità.
Poco dopo eletto. Bergoglio emanò una enciclica dal titolo “Laudato sii” che recensii sul mio blog (link nel primo commento, chi vuole può dargli almeno uno sguardo, vale la pena, non l’articolo ma il contenuto e la forma dell’enciclica). La definii una “enciclica della complessità” con un certo entusiasmo intellettuale. Ma al di là del trasporto emotivo di chi sa di essere minoranza e trova rispecchiamento in un nuovo “amico nel pensiero”, per altro così “importante”, direi che ai contenuti di quella enciclica Bergoglio ha poi dato seguito coerente.
Senza tediare con lunghi elenchi di citazioni, estrapolo solo due pezzi esemplificativi.
Il primo è quel “Qualcuno può dirmi: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sono soltanto contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi”. La battaglia tra semplificanti con tendenze manichee (manicheismo preistoria del cristianesimo stesso) e complessisti, con i primi al grido di “c’è un invasore e un invaso” come se la storia del caso iniziasse il 24 febbraio 2022, senza cause, senza grovigli di cose ignote ai più che si accorgono dei problemi del mondo solo quando esplodono in schizzi di pus, è poi andata avanti e continua sino ad oggi. Ma trattandosi di battaglie sul come pensiamo, è normale portino via aspre dialettiche, anche odii intellettuali profondi e soprattutto molto tempo. Provare a cambiare le forme del mentale porta via molto tempo. È anche una battaglia tra ignoranti emozionati (nel senso che ignorano la struttura dell’argomento su cui esprimono giudizi, a quel punto “giocoforza” emotivi) e osservatori razionali, vecchia quanto l’umanità e più spesso, specie in tempi storici tormentati, persa dai secondi.
Il secondo è quel “C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di “senso della complessità”. Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità” espresso in una lettera al direttore del Corsera di fine marzo. Che seguiva un esplicito invito rivolto ai formatori di opinione “Vorrei incoraggiare lei e tutti coloro che dedicano lavoro e intelligenza a informare, attraverso strumenti di comunicazione che ormai uniscono il nostro mondo in tempo reale: sentite tutta l’importanza delle parole. Non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani”.
A cui ha fatto seguito il discorso alla Via Crucis sul mondo sempre più “a pezzi”, un sistema umano sempre più fratturato che avrebbe bisogno di nuovi tessitori, rammendatori, cucitori. Tra culture, civiltà, stati, nazioni, dentro le nazioni tra strati sociali. Non solo per astratto sentimento di pace, fratellanza e giustizia, prima ancora per realistica presa d’atto che l’unica via che abbiamo è adattarsi reciprocamente e tutti gli umani al pianeta che ci ospita. Forse questo papa è stato il primo, vero, “mondologo”, chi assume l’intero mondo come oggetto del pensiero.
Be’ non c’è da meravigliarsi che un gesuita si esprima, pur con immediata semplicità linguistica, a tale livello proprio delle immagini di mondo. E tuttavia non si può non rimarcare la rarità di tale approccio.
Quindi, no, domani altri andranno al suo funerale, io posso solo dire che la sua dipartita mi dispiace intellettualmente ed umanamente molto.

Pierluigi Fagan, 25-4-25

Grande è la confusione, sotto il cielo di Wall Street

FONTE Facebook Alessandro Volpi 23-4-25

Per provare a fare chiarezza rispetto ad un luogo comune troppo semplicistico. Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, ha sostenuto l’opportunità di attenuare le tensioni commerciali con la Cina. Mi sembra inevitabile che l’amministrazione Trump riveda le ipotesi di una “guerra dei dazi” con l’ex impero celeste. C’è un dato che più di ogni altro sconsiglia, infatti, Trump di perseguire tale strada. Il debito federale degli Stati Uniti è cresciuto dal 2020 al 2024 di 2300 miliardi di dollari ogni anno: una volume di titoli enorme che ha bisogno di compratori per non svalutarsi e per non pagare interessi stellari, il cui ammontare è già pari a circa 1000 miliardi di dollari e con il recentissimo rialzo dei rendimenti conoscerà un ulteriore aumento non distante dai 500 miliardi di dollari. Dunque, per non fallire gli Stati Uniti hanno bisogno della fiducia dei risparmiatori mondiali che viene veicolata dai grandi fondi e dalle grandi banche, di cui i fondi sono azionisti di riferimento. Tale fiducia non può reggere ad uno scontro frontale tra Stati Uniti e Cina perché la tenuta del dollaro, la moneta in cui è denominato il debito Usa, dipende dal suo utilizzo da parte della stessa Cina nei propri scambi mondiali. In questo senso, la perdita di valore del debito americano e la sua maggiore onerosità per il Tesoro degli Stati Uniti non dipendono certo dalla vendita di tale debito da parte della Cina, che ormai ha meno di 750 miliardi di dollari di debito Usa su un totale di quasi 37 mila miliardi, ma dalla forza che la Cina ha assunto negli scambi internazionali. La potenza economica cinese a livello globale è così rilevante che un suo eventuale conflitto commerciale con gli Stati Uniti spaventa a tal punto la grande finanza da indurla a vendere il debito americano per la paura di un suo crollo generato proprio da un simile scontro. Se poi si riducessero anche le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti per effetto dei dazi, la dollarizzazione sarebbe ulteriormente messa a repentaglio e il debito Usa accelererebbe il proprio declino. A ciò bisogna aggiungere che le più generali tensioni finanziarie indotte da una guerra dei dazi fra Cina e Usa stanno determinando il crollo di numerosi titoli considerati sicuri come quelli delle big tech e stanno obbligando i possessori di tali titoli a vendere titoli di Stato Usa per coprire le perdite. In estrema sintesi, la svalutazione del debito Usa non dipende dalla sua vendita da parte dei cinesi ma da una ben più generale dipendenza dell’intera economia degli Stati Uniti dalla Cina