KVETA

Nonostante fosse universalmente conosciuta e apprezzata per il suo impegno nella pittura ‘adulta’, Kveta Pacovska, nata a Praga nel 1928 e morta ieri, 6 febbraio 2023, ha dedicato fino all’ultimo, a oltre novant’anni di età, un’attenzione particolare al libro per l’infanzia, tanto da aver meritato, nel 1992, l’Hans Christian Andersen Medal, uno dei riconoscimenti più alti e prestigiosi nel mondo dell’illustrazione.
“Un libro illustrato – affermava lei – è la prima galleria d’arte che il bambino visita.”
E, nel caso della Pacovska, questa galleria è stata veramente un grande museo, a misura di bambino, dove inseguire i sogni propri e quelli dell’artista, perdersi tra i segni e le figure, nascondersi dietro i testi e le illustrazioni, tra i pezzetti di carta colorata, sprofondare nei tagli e nelle fustellature delle pagine.
Kveta Pacovska non aveva certo fatto sconti, non era scesa a compromessi con nessun mercato: chi guarda e sfoglia un suo libro deve stare al gioco, inseguire ricordi aerei da Klee o Kandinsky, fantasie dal futurismo di Balla, pupazzi bahausiani che rimandano a Depero e Schlemmer. Leggendo una delle sue storie o una delle favole da lei illustrate si ha quasi un’impressione di stordimento.
I testi sono sempre pre-testi per dipanare un incredibile universo di creatività, ma, all’interno di questa creatività, la storia prende corpo e vita nei suoi tratti essenziali, nelle cose, grandi e piccole, che più si fissano nella memoria (la scarpetta di Cenerentola, ad esempio).
Proprio quella scarpetta ci sembra esemplare del rapporto di Kveta Pacovska con il libro illustrato, capace com’è di parlare il linguaggio creativo dell’artista e al tempo stesso salire a livello di archetipo universale. Una specie di ‘idea’ della scarpetta, con riflessi di specchio e macchie di colore, cartina di tornasole, madeleine proustiana per ricordare, ed elaborare il ricordo.
(da Andrea Rauch, “Il racconto dell’illustrazione”, La casa Usher. 2019)

Caterina Betti
Oggi rimango un po’ senza respiro, sapendo di Kveta Pacovska, come quando ho conosciuto la sua opera, come quando si ha davanti qualcosa di tanto, tanto grande

La finocchiona

Andrea Rauch da Facebook

Che il perbenismo puritano degli americani potesse spingersi fino a intaccare il senso del ridicolo lo avevamo sempre sospettato, e che si potesse , su questa stessa pagina Facebook dove sto scrivendo in questo momento, censurare i nudi di Michelangelo, lo potevamo mettere in conto. Ridicolo, si dirà, ma siamo avvezzi a tutto, e di certo nulla ci si stupisce più di tanto.
Leggiamo però adesso che nelle maglie della censura si è impigliata anche la “finocchiona”, famoso e prelibato salume toscano, insaporito da semi di finocchio. Che, ci risulta, sia del tutto innocente, anche se può riuscire un po’ pesante. La “finocchiona”. Siamo certi, peraltro, non siano socialmente pericolose le “penne all’assassina” oppure, possiamo giurare che, ahinoi, gli “spaghetti alla puttanesca”, non alludano a nessun orientamento sessuale definito. Mia zia, che gestiva una trattoria, li chiamava “spaghetti alla maialona”, ma crediamo che anche questo nome si sarebbe impigliato nelle maglie di Facebook.

Commenti su facebook
J.G. : E le famose “palle del Miniati”?
A.M. : Intelligenza artificiale e stupidità della stessa
I.M. : Che voglia di un paio di fette di finocchiona lasciamo a loro l’orrendo burro di arachidi
P.P. : E i cojoni de mulo di Norcia, allora? Pavento crociate.
F.G. : … solo per gli appassionati di prodotti tipici “Fava lunga delle Cascine” baccello lungo 30 cm 😉