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L'ottimismo della volontà col pessimismo della ragione

Il Ballo delle Macchine

La Redazione, 2 Giugno 2025

Ovvero niente Paradiso per la classe operaia

Alla fine, le macchine se la suonavano e se la cantavano da sole. Proprio così: niente più orchestrali, niente più direttori d’orchestra. La sinfonia del capitalismo era ormai un assolo di intelligenza artificiale.

Alla BMW, per esempio, la fabbrica nuova di zecca era un capolavoro di silenzio robotico. Umani? Neanche l’ombra. I nuovi operai erano umanoidi di metallo, precisi, instancabili, senza pause caffè né sindacati. Uno stringeva bulloni con delicatezza chirurgica, l’altro montava portiere come un ballerino giapponese in trance. Gli operai in carne e ossa? Spariti, evaporati, forse ricollocati a sorvegliare parcheggi automatici — per adesso.

Nell’ufficio amministrativo, l’aria condizionata era perfetta e l’umidità regolata al millesimo. Ma nessuno la respirava. Nessun impiegato, nessun plico da timbrare, nessuna scartoffia. Solo server e software che decidevano budget, licenziavano fornitori, ottimizzavano strategie aziendali. Tutto fluiva in un algoritmo sereno.

Nel frattempo, l’informazione aveva smesso di essere umana. Le notizie le scriveva l’IA, le revisionava l’IA, e l’IA intervistava… altre IA. Niente più giornalisti con la schiena storta e il taccuino sgualcito. Niente più opinionisti che si arrabattano per dire qualcosa di originale: bastava chiedere a un modello linguistico di seconda generazione, e puff! Un editoriale brillante sull’ultimo scandalo globale, completo di note a piè di pagina.

La creatività? Oh, quella stava facendo le valigie. Ricercatori automatizzati scoprivano nuove molecole, scrivevano articoli su Nature, e generavano addirittura le domande di finanziamento. Romanzi, quadri, musiche? Tutto sintetico, tutto immediato, tutto perfetto. E chi aveva ancora qualcosa da dire, spesso non aveva più a chi dirlo.

I capitalisti, dal canto loro, ridevano. Avevano tagliato ogni costo umano, trasformando il lavoro in una variabile opzionale. Producevano a pieno regime, 24 ore su 24. Solo che, a un certo punto, si trovarono davanti a un problemino: a chi vendere tutta quella roba?

Ma niente panico. La soluzione c’era, come sempre. I ricchi si chiusero in enclavi perfette: città-bolla con cupole di vetro antiproiettile, parchi verdi sintetici e servitù robotica. Fuori, c’era un’umanità frammentata, povera, sparsa, disinnescata. Non serviva più reprimerla: bastava isolarla. Netflix e cibo sintetico bastavano a tenerla tranquilla.

Lì dentro, nell’Eden delle élite, si progettavano corpi eterni, si sognavano viaggi su Marte, si giocava con l’editing genetico come con i LEGO. Il postumano era arrivato, ma non come liberazione dal capitalismo. Al contrario: era la sua versione premium, depurata dal fastidio della società.

Fu così che il mondo diventò un grande teatro automatico, dove gli attori erano scomparsi e il sipario non si chiudeva mai.

Gian Luigi Betti+

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