Il furto

Mosaico : racconti / Gino Benvenuti. Ed Punto Rosso, 2019
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In una stazione molto affollata, durante una giornata di Agosto, un giovane lestofante di mezza età, in maglietta, blues jeans, scarpe sportive ed un giubbottino di cotone stretto in vita, stava seduto nelle vicinanze delle macchinette automatiche per i biglietti di lunga percorrenza, osservando la folla che intorno a lui, indaffaratissima, si muoveva freneticamente davanti ai pannelli che indicavano in successione le partenze e gli arrivi dei treni.

La scelta di questo punto non era affatto casuale perché l’utenza dei treni regionali non era consigliabile, non solo per la previsione del bottino, ma per il rischio di potere essere individuato.
Alto e magro, dal volto affilato con una barba ben curata, occultava efficacemente le sue mire malandrine mentre stava rimuginando sul prossimo colpo. L’abbigliamento della gente, come le loro espressioni contrastanti, indicava sia chi tornava da una vacanza, con la propria tintarella e qualche souvenir, sia chi, al contrario, doveva partire pregustando la propria con il volto più slavato.
Ad un certo punto il furfante si alzò avendo individuato due valigie particolari ed interessanti, non nella loro forma, bensì in base alle proprietarie che le portavano, come l’esperienza del mestiere gli suggeriva.
Entrambe le donne non parlavano con nessuno e quindi, essendo sole, erano prive di amici in grado di difenderle e non mostravano, per il loro fisico, un’attitudine ad una possibile reazione. Fattore non secondario se a difendere la propria merce è un uomo, magari dall’aspetto gagliardo e nerboruto. Una donna era obesa, sicuramente oltre i cinquanta anni con occhiali spessi e l’altra invece piuttosto magra alquanto anziana, seppur con movenze giovanili ed un abbigliamento raffinato, come i suoi monili, che lasciavano intendere una certa agiatezza.

Inoltre ciascuna donna aveva un secondo bagaglio; una lo portava a tracolla, e ciò sicuramente avrebbe costituito un intralcio nella difesa del bagaglio principale, mentre l’altra lo aveva appoggiato a terra senza impugnarlo. Una di esse aveva un grande borsone da palestra dotato di ampie maniglie che non mostrava alcuna serratura con la combinazione né un lucchetto, e man mano che avanzava nella fila di passeggeri per fare il biglietto lo spostava con il piede.
Per tutte queste consistenti considerazioni, il lestofante cominciò a girarle intorno, volteggiando come un rapace intorno alla preda, prima di scendere in picchiata. Una volta fatto il biglietto, la signora si mosse verso i binari seguita dallo sguardo del ladruncolo che già pregustava il colpo, avvicinandosi sempre più alla vittima prescelta. Nel guardare il display multiplo prima di entrare al binario, la donna chiese ad un ferroviere di passaggio come mai il treno ad alta velocità per Bologna non vi comparisse, ma egli la tranquillizzò asserendo che a minuti sarebbe stato inserito al binario 3.
Il treno era uno di quelli di lusso e non sarebbe stato possibile montare sopra per seguirla da vicino anche perché la prossima fermata sarebbe stata Firenze e non valeva la pena rischiare di fare un viaggio andata e ritorno all’incirca di quattro ore: il colpo quindi doveva essere portato subito a termine.

Uno sguardo attorno, un affiancamento di una decina di passi e dopo, con uno strappo, egli ghermì fulmineamente il borsone cominciando a correre per la stazione.
Aiuto mi hanno derubato!– urlò la donna indicando la direzione ad un uomo che chiamò subito una coppia di poliziotti in perlustrazione.
Essi giunsero immediatamente dalla signora chiedendo delle indicazioni somatiche del ladro e la conformazione del bagaglio che vennero trasmesse via cellulare al posto di comando all’interno della stazione. La signora, visibilmente scossa, ebbe la temporanea solidarietà di alcune persone ed una donna le offrì da bere dell’acqua, mentre un ferroviere per un attimo le fornì come conforto il suo braccio e così, nel breve volgere di qualche minuto, mostrò di essersi rassegnata al furto subito, perché all’agente, che le chiese se volesse fare denuncia, rispose facendo presente un appuntamento troppo importante, poco dopo l’arrivo nella sua città, e come ciò le impedisse di trattenersi.
Grazie della sua attenzione. Le lascio comunque il nome e cognome– concluse. L’agente, a cui si affiancò un collega, insisté nel richiedere un documento, ma la donna fece notare che “i documenti li avevo tutti lì nel borsone e comunque io le posso dare a voce le mie generalità”, precisò lei dando il tempo di trascriverle al milite su un foglio.

Espletata questa formalità, in un attimo di pausa, la donna, inforcando gli occhiali fissati ad una catenella che portava sulla testa, domandò:
Dove mi posso rivolgere se ritornerò appositamente domani mattina?
Qui al comando in stazione
Grazie di nuovo. Meno male che i biglietti li ho conservati nella borsa che porto al braccio– disse inforcando gli occhiali.
Signora non penso che lei sia la prima volta che viaggia– insisté un poliziotto.
Certo che no!– rispose sorridendo alquanto sorpresa da questa considerazione.
Allora come ha avuto l’accortezza di mettere i biglietti nella borsa a tracolla così doveva metterci anche i documenti– rimproverò bonariamente –oltretutto questa stazione è un porto di mare e noi stessi abbiamo difficoltà a contrastare il crimine. Buon viaggio comunque– concluse dandole la mano.
Ha ragione e molte grazie– rispose lei trasferendo gli occhiali sopra i capelli ben curati.

Nel frattempo il ladruncolo, con la refurtiva, si era dileguato lontano da sguardi indiscreti, rimanendo vicino alla stazione e nascondendosi in un portone. Qui estrasse un coltello serramanico, facendo scattare immediatamente la lunga lama pronto a qualsiasi evenienza. Prima di aprire il pesante borsone, lo depositò in una propaggine buia dell’ingresso dove c’erano alcune biciclette appoggiate al muro e quando sentì camminare per le scale, vedendo accendersi la luce del condominio, si rannicchiò nel punto più lontano fino a che non vide una ragazza uscire dalla porta. Scansato l’imprevisto, cominciò a tastare il borsone e sentendolo compatto si ricordò che la proprietaria lo spingeva con il piede e ciò alimentò le sue fantasie mentre lo spostò verso la ringhiera delle scale dove, in una striscia di luce, lo aprì. La prima cosa che notò fu una distesa di giornali che copriva tutta la superficie del borsone ed alcune sciarpe di infimo valore accanto ad un sacchetto riportante il logo ed il nome di una notissima gioielleria nel quale, con bramosia, infilò alla cieca una mano prima che lanciasse un urlo bestiale: ritrasse la mano e sul dorso vi erano inequivocabili i segni di un morso di una vipera.
In preda allo spavento, cominciò ad urlare per le scale e qualcuno si allarmò chiamando la polizia mentre lui, tenendosi la mano, uscì dal portone dopo avere abbandonato la refurtiva. Chiese aiuto, mostrando l’arto offeso, ad un automobilista per chiamare un’ambulanza che arrivò insieme alla polizia alla quale fu costretto a confessare la dinamica della sua azione criminale.

Informato in merito un poliziotto, mentre il ladro venne portato urgentemente in ospedale, corse per recuperare il borsone ed una volta visti alcuni condomini, che stavano scendendo dalla scala del primo piano, disse:
Tornate di corsa in casa. Via alla svelta!– intimò alle persone presenti è stata segnalata la presenza di una vipera– precisò agli inquilini che esterrefatti lo assecondarono.
Munito di guanti e con l’aiuto della pila, controllò con circospezione, tutto il piano terreno e constatata la sua assenza dedusse che fosse ancora nel bagaglio. Si fece dare da un inquilino un manico di scopa che riuscì, insieme ad un collega, ad inserirlo tra i manici della borsa in maniera di sollevarla da terra.
Sul marciapiede, il borsone fu adagiato sopra un telo di plastica e, una volta afferratene i lembi, venne fasciato e chiuso con del nastro adesivo.
La gente, che si fermava incuriosita, venne invitata ad attraversare la strada e successivamente altrove, in condizione di sicurezza, il borsone venne vuotato. Tolto il sacchetto trovarono sei mattoni celati da uno strato di vecchi giornali e da un insieme di stracci in mezzo ai quali rinvennero un biglietto:
Caro figlio o cara figlia di puttana, un’altra volta ci penserai prima di mettere le mani dentro ad una borsa rubata ad una signora.
Speriamo che tu muoia!
”.

Gino Benvenuti