Finanza e genocidio

FONTE Facebook 11-5-25
Alessandro Volpi
Con una nota redazionale sui criteri ESG da adottare per la valutazione dei piani di finanziamenti alle imprese.

Finanza e genocidio. E’ noto che una parte dei risparmi mondiali, soprattutto in “Occidente”, è indirizzata da grandi società di consulenza, il cui compito è quello di valutare non solo la redditività ma anche l’eticità degli investimenti verso cui indirizzare tali risparmi. In altre parole, per poter qualificare come “etici” gli investimenti, esistono alcuni parametri definiti proprio da queste grandi società: tra tali parametri figurano la violazione dei diritti umani, l’uccisione delle popolazioni, il blocco degli aiuti. In altre parole, le imprese, le banche e altri soggetti finanziari che hanno a che fare con tali crimini non possono ricevere finanziamenti “etici”. Il fatto davvero gravissimo è costituito dalla decisione di alcune di queste società di valutazione come Morgan Stanley e Morningstar di rimuovere molti di tali crimini dalla lista delle “violazioni etiche” per continuare a indirizzare il risparmio gestito verso il finanziamento di imprese e banche israeliane. Si è trattato, in pratica, di cancellare quanto avviene a Gaza, derubricandolo a operazioni ordinarie, per mantenere il bollino etico ad investimenti altrimenti non più possibili. Con buona pace della convinzione di chi si affida ai criteri Esg per avere la coscienza a posto. Che amarezza.

Alessandro Volpi 11-5-25


ESG (Environmental, Social, Governance)

I criteri ESG (Environmental, Social, Governance) sono parametri utilizzati per valutare la sostenibilità e l’impatto etico di un’impresa. Questi criteri vengono sempre più adottati nel settore finanziario per determinare l’accesso ai finanziamenti e agli investimenti a condizioni agevolate2.

Ecco una panoramica dei tre pilastri ESG:

  • Ambientale (Environmental): riguarda l’impatto dell’azienda sull’ambiente, inclusa la gestione delle risorse naturali, la riduzione delle emissioni e la transizione energetica.
  • Sociale (Social): si riferisce alle condizioni di lavoro, l’inclusione, il rispetto dei diritti umani e il coinvolgimento nelle comunità locali.
  • Governance (Governance): comprende la trasparenza nella gestione aziendale, le politiche anti-corruzione e la struttura di controllo interno.

Le imprese che integrano i criteri ESG nelle loro strategie possono ottenere vantaggi finanziari, come tassi d’interesse agevolati, accesso semplificato al credito e priorità nell’assegnazione di fondi pubblici e comunitari. Inoltre, un buon rating ESG può migliorare la reputazione aziendale e attrarre investitori interessati alla sostenibilità.


FONTE Facebook 11-5-25 Alessandro Volpi Con una nota redazionale sui criteri ESG da adottare per la valutazione dei piani di finanziamenti alle imprese.

Riccardo e la Tenda per la Pace

Un appello di Moreno Biagioni ed un ricordo in memoria di Riccardo Torregiani nel decimo anniversario della sua morte. Riccardo è stato uno dei più validi esponenti del movimento pacifista e antirazzista fiorentino ed anche nazionale e uno dei fondatori della Rete Antirazzista Nazionale.

Negli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso Riccardo ebbe, insieme ad altri, l’idea di mettere una Tenda in Piazza San Giovanni, davanti all’Arcivescovado, ogni volta che scoppiava una guerra (e ciò avveniva molto di frequente – tanto che la Tenda, denominata Tenda della Pace, rimase in piazza ininterrottamente per un lungo periodo -).
All’inizio vi fu la ricerca della Tenda, che infine venne procurata dagli Scout AGESCI.
Fortunatamente non vi era ancora stato il divieto assoluto di manifestazioni nel centro storico di Firenze e l’Arcivescovo non avanzò obiezione alcuna rispetto all’installazione della Tenda – anzi, manifestò una certa simpatia per le associazioni pacifiste (fra cui alcune cattoliche – vedi gli Scout AGESCI -) promotrici dell’iniziativa.
Il compito di Riccardo non si esaurì certo con l’installazione della Tenda: si trattava ora di riempirla di incontri e di contenuti per farla diventare davvero un punto di riferimento del movimento pacifista cittadino, e non solo.
Nella Tenda vennero invitati a parlare persone impegnate nella promozione della pace come primo obiettivo da perseguire.

Ricordo gli interventi

  • – di Padre Balducci (realizzatore, per la rivista “Testimonianze”, dei Convegni all’insegna del motto “Se vuoi la pace, prepara la pace” – che rovesciava il detto dell’antica Roma “Se vuoi la pace, prepara la guerra”-)
  • – di Alberto L’Abate – del Movimento della Nonviolenza, creato da Aldo Capitini, e di cui fu esponente importante fiorentino Gigi Ontanetti, della Comunità dell’Isolotto -,
  • – degli “Statunitensi contro la guerra” (John Gilbert, Nancy Bailey e altre/i, cittadine/i degli Stati Uniti residenti a Firenze),
  • – di Lisa Clark, di “Pax Christi, …),
  • – di rappresentanti delle diverse realtà politiche, sindacali, sociali, culturali sensibili ai temi della pace, della nonviolenza, della solidarietà.

La Tenda riuscì davvero ad essere da un lato uno spazio di sensibilizzazione e di dibattito, dall’altro il simbolo del movimento pacifista, ben visibile, sia per i numerosi turisti sia per i/le cittadini/e di Firenze, perché collocato in uno spazio centrale della città.

Fu anche, la Tenda in Piazza San Giovanni, una modalità di denuncia e di protesta utilizzata anche in altre occasioni, e cioè, ad esempio, quando i Senegalesi fecero lo sciopero della fame per contestare la militarizzazione delle vie cittadine in seguito al provvedimento che impediva loro di vendere per le strade, uno sciopero a cui Riccardo ed altri/e esponenti dell’associazionismo fiorentino portarono una piena solidarietà.
Oggi, purtroppo, di fronte ad una situazione ancor più grave di quella di allora, il movimento pacifista non è riuscito a ripetere l’esperienza della Tenda (né a trovare modi nuovi, con cui esprimere la volontà, ampiamente maggioritaria nella popolazione, di mettere davvero, e definitivamente, la guerra “fuori dalla Storia”).
Ricordare l’impegno di Riccardo nel realizzare la Tenda della Pace vuol dire anche fare il possibile perché lo spirito che portò a quell’impegno non si spenga e trovi il modo di dispiegarsi nuovamente, con grande energia (perché ce n’è un grande bisogno nel momento in cui, di fronte all’indifferenza di moltissimi,

  • – crescono le guerre
  • – fascismi, di vecchio e nuovo conio, dominano il campo
  • – dilagano forme di razzismo e d’intolleranza)

Si può ben dire, in conclusione, che è tempo ancora di “Tenda della Pace”.

Moreno Biagioni 7-5-25


Un appello di Moreno Biagioni ed un ricordo in memoria di Riccardo Torregiani nel decimo anniversario della sua morte. Riccardo è stato uno dei più validi esponenti del movimento pacifista e antirazzista fiorentino ed anche nazionale e uno dei fondatori della Rete Antirazzista Nazionale.

le magnifiche sorti e progressive

FONTE Facebook Sandra Vegni 4-5-25
IMMAGINE e TITOLI REDAZIONALI

Ahi serva Europa di dolore ostello

Riflessione del 4 maggio da parte di un’anziana donna scoraggiata
L’uomo dal ciuffo biondo e dal culo di gallina al posto della bocca (così chi non se la sente d’inchinarsi per baciarlo di dietro, può farlo orgogliosamente di fronte, con lo stesso risultato) ha ottenuto quello cui mirava: lo sfruttamento delle terre rare in Ucraina; ora non gli resta che aspettare che la striscia di Gaza sia liberata da quei fastidiosi mosconi in veste di palestinesi che si ostinano ad occuparla e può allegramente disinteressarsi di quello che combineranno gli europei, sempre che – ovviamente – mantengano la promessa di 50 miliardi di importazioni in più dal suo paese che, com’è noto, finora è stato sfruttato ignobilmente dai comunitari. Non lo faranno Papa ma, a questo ci arriva anche da solo, se ne farà una ragione. Non faranno Papa neanche il suo cardinale di riferimento, quello che dovrebbe ‘fare il lavoro’, e questa non è una bella cosa ma… sarà per la prossima volta.
Finiranno infatti, gli europeidioti, a darsele fra di loro con armi americane e questo aprirà un bel mercato.
Perché gli europei, diciamo la verità, son millenni che se la danno con alterne vicende; senza arrivare all’impero romano e alle successive orde barbariche scese fino a Roma, gli spagnoli se le davano con la Francia, la Francia con l’Inghilterra, la Prussia stava in mezzo e andava un po’ qua e un po’ là. L’Italia non esisteva. ‘Franza e Spagna purché se magna’ dicevano gli italici, anche se più della metà stavano fra il Papato e l’impero austro ungarico, e forse non avevano torto. Poi si sono uniti e da lì è iniziata un’altra storia, non sempre gloriosa. Gli zar si allargavano fuori dal loro cortile (peraltro assai ampio ma poco appetibile di là dagli Urali, vuoi mettere al di qua!) verso i Balcani e la Scandinavia. La Russia deve essere considerata europea, che ci piaccia o meno: alla corte la lingua ufficiale era il francese e la costruzione di San Pietroburgo è stata affidata a un architetto italiano, poco noto in patria (che peraltro ancora non esisteva) ma molto stimato dall’aristocrazia russa.
Le influenze e le espansioni andavano e venivano, come le onde del mare; in Alsazia e Lorena non lo sapevano neanche gli abitanti se dovevano considerarsi francesi o tedeschi. Di fatto, se francesi e tedeschi sono arrivati fino alla periferia di Mosca, i Russi non sono mai arrivati a Parigi. A Berlino sì, ma ricacciando indietro gli invasori. Che poi Berlino l’hanno resa ai tedeschi, senza colpo ferire. Certo, Gorbacev ed Eltsin (molto amato dagli americani e incerto fino all’ultimo se il whiskey fosse meglio della vodka) non erano Putin. E su questo non c’è dubbio. Ma che, con oltre 20 milioni di morti, i russi abbiano contribuito a vincere la seconda guerra mondiale, non ci sono altrettanti dubbi. Sono stati anche i primi ad entrare ad Auschwitz e a constatare che era peggio dei loro gulag siberiani, anche se Benigni non è d’accordo. E che ora Zelensky, forte della recente ed effimera amicizia con il biondo in epigrafe, minacci chiunque osi festeggiare sulla piazza rossa, mi sembra un tantino esagerato. L’altro, il nemico degli europei, non l’ha presa bene. Francamente, non l’avrei presa bene neanche io, nei suoi panni. Il biondo se la ride e conta i soldi di una bella ricostruzione su ampia scala, mentre io rabbrividisco. Che 80 anni di pace siano un tantinello troppi? La Storia (quella del passato che si può guardare con una certa obiettività) ce lo dovrebbe insegnare. Invece no. Non preparerò lo zainetto con le medicine e le scatolette per 72 ore perché non m’interessa sopravvivere sulle macerie del ‘mio’ mondo.
Fine dell’analisi scolastica di una ex liceale molto datata.
Un bel pippone, ma avevo bisogno di farlo. Per me stessa e per i superstiti, se ce ne saranno. Perché questa diavoleria di internet ci sopravviverà, di sicuro.

PADELLARO UNO E TRINO

Anna Maria Guideri 1 maggio 2025
Segue un link all’articolo di Alexandro Sabetti : “Il feticcio del fascismo: sempre evocato, temuto, ma quando c’è nessuno lo vede” su https://www.kulturjam.it/ da cui è stata tratta l’immagine


(Governano i fascisti e il problema è l’antifascismo)

In questo periodo è difficile sfuggire alle apparizioni di Antonio Padellaro ospite molto richiesto nei vari talk show televisivi per presentare il suo libro Antifascisti immaginari. A quanto pare in questa sua recente fatica l’autore sostiene – a mio parere piuttosto spericolatamente – la tesi secondo la quale dichiararsi antifascisti fa male alla salute politica della sinistra, mentre farebbe bene alla destra. È sempre la logora tiritera gradita -inspiegabilmente – ai sedicenti, supponenti di sinistra e con qualche ragione in più, alla destra. Si comprende facilmente perché Italo Bocchino e i suoi followers reputino obsoleto essere antifascisti, si capisce un po’ meno se lo pensa anche Padellaro che, al netto di qualche lontana simpatia per Bettino Craxi, si era onorevolmente riscattato optando decisamente per la sinistra al punto da aver diretto, all’inizio del 2000, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, L’Unità. Ma che gli è preso a Padellaro? Una folgorazione sulla via di Travaglio? Ha ricevuto una botta in testa dalla Schlein? O forse sta valutando l’opportunità di riposizionarsi in vista dei futuri stravolgimenti geopolitici ad opera della destra mondiale? Padellaro uno e trino: dal periodo craxista, al periodo comunista, al periodo qualunquista … ? Quella di Padellaro non mi sembra una trovata molto originale visto che è da quel dì che gli spiriti illuminati (ma non illuministi) fanno a gara a dare addosso al 25 Aprile e agli antifascisti anziché ai fascisti! Con l’aggravante, per Padellaro, di prendersela con gli antifascisti dopo che, parafrasando Bersani, la mucca è uscita dal corridoio ed è entrata nella stanza dei bottoni. Per lui l’antifascismo non ha motivo di esistere in quanto manca l’oggetto del contendere: il fascismo, che è stato definitivamente sconfitto nel ’45. Amen. Se il fascismo non c’è più, che ci azzecca l’antifascismo? Insomma, se Mussolini è morto, quelli che governano oggi, compreso La Russa, non gli somigliano per “gniente”. I non meglio identificati individui erroneamente sospettati – dai malintenzionati antifascisti – di fascismo, possono pure presentare sintomi evidenti di intolleranza alla democrazia come inneggiare al duce, essere razzisti, xenofobi, omofobi, fare il saluto romano, andare in pellegrinaggio a Predappio e ad Acca Larentia … ma non sono fascisti. Sono senz’altro grotteschi, ridicoli e fuori tempo … esattamente come gli antifascisti che li prendono sul serio, ma non possono essere fascisti perché il fascismo non c’è più. A tale proposito la storica Michela Ponzani chiarisce in modo esemplare: Il vero problema non è l’antifascismo, ma l’indulgenza con cui il fascismo viene trattato, minimizzato e tollerato a fronte della durezza con la quale viene trattata da questo governo la celebrazione della Resistenza … Pesi e misure vergognosamente sbilanciati per affermare un colossale falso storico e cioè che coloro che hanno devastato l’Italia sono meno colpevoli di coloro che l’hanno salvata. E ancora Ponzani: In un momento così critico per la nostra democrazia in Italia e nel mondo c’era proprio bisogno di scrivere un libro contro l’antifascismo? Le sottili disquisizioni sulla correttezza dell’uso del termine antifascismo riferito all’attualitàgenerano il fraintendimento che si tratti di una questione lessicale, non sostanziale. L’antifascismo non è un esercizio di stile, non è roba per gli accademici della Crusca, ma è un termine che definisce la contrapposizione netta e definitiva al fascismo, una tragica realtà storica e al tempo stesso una questione di natura filosofica e sociologica che riguarda profondamente l’essere umano e il suo rapporto con la comunità in cui vive. Il fascismo non è un passato che non torna, ma un passato che non passa. Scrive il filosofo Sergio Labate su Domani: L’antifascismo non contiene dentro di sé una retorica carnevalesca, ma è esso stesso una tragica memoria di morti che non chiedono “sobrietà”, ma verità. Come possiamo ovviare a quella che Michela Ponzani definisce la cristallizzazione retorica delle celebrazioni del 25 Aprile che ne hanno logorato la memoria svuotandola della sua drammatica eredità di dolore, di morte, di appassionata rinascita? Riscoprendone il valore storico, etico, umano, di coraggio, di sacrificio, di dono. È realistico pensare che in Italia si possa parlare di democrazia senza definirla antifascista? E l’antifascismo è un falso problema? Sì, solo per i fascisti!

Anna Maria Guideri 30-04-2025

LINK all’articolo di Alexandro Sabetti su Kulturjam

COME RICONOSCERE I FASCISTI DI OGGI

di Anna Maria Guideri

(istruzioni per l’uso)

1 – Non aspettatevi di riconoscere i fascisti in quanto nemici del popolo, li riconoscerete invece da quanto lo adulano e lo manipolano.
2 – Non riconoscerete i fascisti dall’odio contro la democrazia, ma dal fatto che si vantano di essere loro, e non gli antifascisti, i veri democratici.
3 – Non riconoscerete i fascisti dal disprezzo verso le donne, ma da come le lodano se si comportano come vogliono loro.
4 – Non riconoscerete i fascisti da come limitano la libertà di espressione, ma da come fanno passare per abuso, l’uso che gli antifascisti ne fanno.
5 – Non riconoscerete i fascisti tanto dall’esternazione del loro odio razziale, ma da come cercheranno di farvi credere che gli odiati dai diversi siete voi.
6 – Non riconoscerete i fascisti dalla negazione esplicita dei diritti umani, ma dal fatto che cercheranno di convincervi che chi li nega sono gli antifascisti.
7 – Non riconoscerete i fascisti dalla lavanda gastrica dell’olio di ricino, ma dal lavaggio di cervello dei social.
8 – Non riconoscerete i fascisti dalla discriminazione dei deboli, ma dal fatto che vi vorranno convincere che i deboli sono i forti.
9 – Non riconoscerete i fascisti dalla loro disumanità, ma dal fatto che vi vorranno far credere che ciò che è male per l’essere umano è invece il suo bene.
10 – Non riconoscerete i fascisti perché sottovalutano l’importanza della cultura, ma perché vorranno farvi credere che l’unica cultura che conta è quella fascista.
11 – Non riconoscerete i fascisti dalla negazione della verità storica, ma dal loro tentativo di farvi credere che, a dispetto dei fatti, gli unici che la possiedono sono loro.
12 – Non riconoscerete i fascisti perché negano il valore della Resistenza, ma perché tentano di convincervi che gli unici che hanno davvero resistito al nemico sono i repubblichini di Salò!

Anna Maria Guideri, 25-04-2025

Il papa della complessità

FONTE Facebook Pierluigi Fagan 25-4-25
TITOLO REDAZIONALE

SI POTREBBE TUTTI QUANTI ANDARE AL TUO FUNERALE…

(Passata la tempesta dei primi commenti me ne permetto uno anche io) Pierluigi Fagan

Franceso I era a capo di una comunità di credenti di circa 1,4 mld di persone. Distribuita nei vari paesi del mondo, anche quando non fa maggioranza assoluta lo è spesso relativa o è minoranza qualificata. Socialmente, culturalmente e quindi politicamente, ripartita per stati e società questa comunità pesa più della sua stretta numerica. In più, Francesco I veniva dal Sud America, guardava spesso all’Asia (e la Cina, vecchio pallino gesuita) e curava la penetrazione della sua Chiesa in Africa. In ottimi rapporti con l’area ortodossa, meno con la protestante (non tanto con gli anglicani ma con le sette americane), meno ancora con l’area ebraica, equilibrato nelle relazioni con l’islam a differenza del suo predecessore.
Insomma, possiamo pesare la sua influenza diretta e indiretta, come leader culturale di opinione, come influente per l’immagine di mondo, almeno al doppio della sua stretta area di credenza, il che ne ha fatto -sotto questo punto di vista- l’individuo più importante in senso globale e di gran lunga.
La maggioranza votante Bergoglio al Conclave condivideva se non altro l’idea generale che l’istituzione che dovrebbe curare ma anche espandere la credenza, dovendo guardare al presente ma anche il futuro del mondo, non poteva che constatare la contrazione di peso degli occidentali e l’espansione enorme dell’Africa ed il peso altrettanto enorme dell’Asia. Assieme al Sud America, queste tre aree pesano oggi l’85% del mondo, l’88% nel 2050. Non credo che queste considerazioni scompaiano come riferimento per l’elezione del successore, al di là del fatto che poi la “missione” può essere espletata in molti modi e diversi equilibri tra la cura dell’esterno e quella dell’intero della Chiesa, una vocazione “internazionalista” rimarrà base per la scelta del successore.
La struttura dell’opinione tra Bergoglio e la grande area di chi, direttamente o indirettamente, ha risentito della sua influenza culturale, è quindi immensa e variegata. Da cui la pluralità di giudizi, sentimenti, interpretazioni. Il primo discrimine che si può fare è tra chi è interno a quella credenza o altra credenza spirituale e chi no.
Molti laici, non credenti, agnostici o atei (categorie di malferma definizione visto che spesso sono state date dai credenti), hanno apprezzato il profilo culturale di Bergoglio. Ricordo che Bergoglio era gesuita, il primo papa gesuita (ordine nato nel 1540, da sempre discusso dentro la Chiesa), l’ordine la cui missione principale è proprio il ruolo di corpo diplomatico culturale rivolto al mondo non espressamente cattolico. Ma anche qua, se ne possono dire di tutti colori a seconda dell’ideologia professata o del peso che si dà a certe cose, dall’entusiasmo per il suo terzomondismo anticapitalista e tendenzialmente egalitario ed ecologista ai mal di pancia di chi ne ha censurato altri aspetti.
Dal mio punto di vista, di studioso delle immagini di mondo che si occupa più spesso della struttura del “come” pensiamo che non del “cosa” pensiamo, Bergoglio era un alleato per la promozione della cultura della complessità, il che -in assoluto ma di questi tempi in particolare- era ed è una rarità.
Poco dopo eletto. Bergoglio emanò una enciclica dal titolo “Laudato sii” che recensii sul mio blog (link nel primo commento, chi vuole può dargli almeno uno sguardo, vale la pena, non l’articolo ma il contenuto e la forma dell’enciclica). La definii una “enciclica della complessità” con un certo entusiasmo intellettuale. Ma al di là del trasporto emotivo di chi sa di essere minoranza e trova rispecchiamento in un nuovo “amico nel pensiero”, per altro così “importante”, direi che ai contenuti di quella enciclica Bergoglio ha poi dato seguito coerente.
Senza tediare con lunghi elenchi di citazioni, estrapolo solo due pezzi esemplificativi.
Il primo è quel “Qualcuno può dirmi: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sono soltanto contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi”. La battaglia tra semplificanti con tendenze manichee (manicheismo preistoria del cristianesimo stesso) e complessisti, con i primi al grido di “c’è un invasore e un invaso” come se la storia del caso iniziasse il 24 febbraio 2022, senza cause, senza grovigli di cose ignote ai più che si accorgono dei problemi del mondo solo quando esplodono in schizzi di pus, è poi andata avanti e continua sino ad oggi. Ma trattandosi di battaglie sul come pensiamo, è normale portino via aspre dialettiche, anche odii intellettuali profondi e soprattutto molto tempo. Provare a cambiare le forme del mentale porta via molto tempo. È anche una battaglia tra ignoranti emozionati (nel senso che ignorano la struttura dell’argomento su cui esprimono giudizi, a quel punto “giocoforza” emotivi) e osservatori razionali, vecchia quanto l’umanità e più spesso, specie in tempi storici tormentati, persa dai secondi.
Il secondo è quel “C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di “senso della complessità”. Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità” espresso in una lettera al direttore del Corsera di fine marzo. Che seguiva un esplicito invito rivolto ai formatori di opinione “Vorrei incoraggiare lei e tutti coloro che dedicano lavoro e intelligenza a informare, attraverso strumenti di comunicazione che ormai uniscono il nostro mondo in tempo reale: sentite tutta l’importanza delle parole. Non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani”.
A cui ha fatto seguito il discorso alla Via Crucis sul mondo sempre più “a pezzi”, un sistema umano sempre più fratturato che avrebbe bisogno di nuovi tessitori, rammendatori, cucitori. Tra culture, civiltà, stati, nazioni, dentro le nazioni tra strati sociali. Non solo per astratto sentimento di pace, fratellanza e giustizia, prima ancora per realistica presa d’atto che l’unica via che abbiamo è adattarsi reciprocamente e tutti gli umani al pianeta che ci ospita. Forse questo papa è stato il primo, vero, “mondologo”, chi assume l’intero mondo come oggetto del pensiero.
Be’ non c’è da meravigliarsi che un gesuita si esprima, pur con immediata semplicità linguistica, a tale livello proprio delle immagini di mondo. E tuttavia non si può non rimarcare la rarità di tale approccio.
Quindi, no, domani altri andranno al suo funerale, io posso solo dire che la sua dipartita mi dispiace intellettualmente ed umanamente molto.

Pierluigi Fagan, 25-4-25

Morte di una democrazia

FONTE Una democrazia smantellata in cinquantatré giorni Timothy W. Ryback
Internazionale Numero 1608 del 4 aprile 2025  (adattamento da The Atlantic)

T.W.Ryback , sul n°  1608 di Internazionale, condensa una parte importante della storia mondiale  recente: l’ascesa al potere di Hitler, ottenuta seguendo formalmente le leggi e quindi “con mezzi democratici”,  sfruttando “la potenziale debolezza intrinseca di ogni aspetto formale della legge”, come sostenuto da Hans Frank, poi condannato a Norimberga per le atrocità commesse.

La strategia messa a punto da questo avvocato, e messa in pratica da Hitler, comprendeva:

“ epurazione dei funzionari chiave dello stato per sostituirli con suoi fedelissimi, ottenere pieni poteri  ”con legge, approvata dal parlamento ” per poter rispettare le promesse elettorali: rilanciare l’economia, aumentare le spese militari, ritirarsi dai trattati internazionali, purgare il paese dagli stranieri che avvelenavano il sangue della nazione, e vendicarsi degli avversari politici”

Una strategia messa a punto dopo il fallimento del colpo di stato di Monaco.

Si sa che la storia ripete in farsa quella che era stata una tragedia. 

C’è qualcuno che scorge l’avvio di questa farsa nella nuova amministrazione degli U.S.A?

Enrico Tendi, 23-4-25

Di seguito la sintesi dell’articolo elaborata dall’ intelligenza artificiale

Presentazione dell’Articolo

Titolo“Una democrazia smantellata in cinquantatré giorni”
Autore: Timothy W. Ryback
FonteInternazionale (adattamento da The Atlantic)

Contesto:
L’articolo ricostruisce in dettaglio i 53 giorni che seguirono la nomina di Adolf Hitler a cancelliere della Germania il 30 gennaio 1933, mostrando come il regime nazista smantellò la Repubblica di Weimar usando strumenti legali e costituzionali. Attraverso documenti storici e testimonianze, Ryback svela il metodo sistematico con cui Hitler neutralizzò le opposizioni, manipolò le istituzioni e instaurò una dittatura, trasformando una democrazia in un totalitarismo senza ricorrere inizialmente a un colpo di stato violento.

Tesi centrale:

  • Hitler sfruttò le debolezze strutturali della costituzione di Weimar (es. articolo 48 sui poteri d’emergenza del presidente) e la complicità passiva delle élite conservatrici (come il presidente Hindenburg e Franz von Papen).
  • L’incendio del Reichstag (27 febbraio 1933) fu il pretesto per sospendere le libertà civili e reprimere i comunisti.
  • La Legge dei pieni poteri (23 marzo 1933), approvata con intimidazioni e accordi politici, segnò la fine della democrazia tedesca.

Sintesi Schematica

1. L’Ascesa Legale di Hitler

  • 30 gennaio 1933: Hitler diventa cancelliere in una coalizione con i conservatori, ma controlla solo 2 ministeri su 11.
  • Strategia: Usa la legalità per distruggere la democrazia, come promesso nel 1930: “Attraverso mezzi costituzionali!”.
  • Ostacoli iniziali:
    • Il partito nazista ha solo il 37% dei seggi al Reichstag.
    • L’opposizione (socialdemocratici e comunisti) controlla il 38%.
    • Il ministro dell’economia Hugenberg gli nega nuove elezioni.

2. La Repressione dell’Opposizione

  • Göring e Frick:
    • Wilhelm Frick (ministro dell’interno) limita la libertà di stampa e centralizza il potere.
    • Hermann Göring (ministro della Prussia) trasforma le SA in polizia ausiliaria, autorizzando violenze.
  • Decreto dell’incendio del Reichstag (28 febbraio 1933):
    • Sospensione delle libertà costituzionali.
    • Arresti di massa di comunisti e chiusura dei giornali di sinistra.

3. Le Elezioni del 5 Marzo e la Legge dei Pieni Poteri

  • Risultati elettorali: I nazisti ottengono il 44%, ma con i comunisti esclusi, Hitler ha la maggioranza dei 2/3.
  • 23 marzo 1933: Il Reichstag vota la Ermächtigungsgesetz (Legge dei pieni poteri):
    • 441 voti a favore (nazisti, conservatori, centro cattolico).
    • 94 contrari (solo i socialdemocratici, guidati da Otto Wels).
    • Conseguenze: Hitler può emanare leggi senza il Parlamento, svuotando la democrazia.

4. La Complicità delle Élite

  • Paul von Hindenburg: Il presidente firma tutti i decreti, illudendosi di controllare Hitler.
  • Franz von Papen: Vicecancelliere, pensa di “addomesticare” i nazisti, ma viene emarginato.
  • Industria e giustizia: Molti giudici e industriali appoggiano Hitler per paura del comunismo.

5. Simboli della Dittatura

  • Giornata di Potsdam (21 marzo): Hitler e Hindenburg si presentano insieme, legittimando il regime.
  • Primi campi di concentramento: Aperti a Dachau e Oranienburg per i dissidenti.
  • Persecuzione degli ebrei: Inizia con le limitazioni professionali e le confische.

6. Lezioni Storiche

  • Debolezze costituzionali: Weimar aveva strumenti per fermare Hitler (es. articolo 48), ma mancò la volontà politica.
  • Importanza delle istituzioni: La magistratura e la stampa cedettero senza resistenza.
  • Analogie con il presente: Ryback invita a riflettere su come le democrazie possano essere smantellate dall’interno.

Citazioni Chiave

  • Hans Frank (avvocato di Hitler): “Il Führer sfruttò ogni debolezza formale della legge con spietatezza”.
  • Joseph Goebbels“La grande beffa della democrazia è che fornisce ai suoi nemici i mezzi per distruggerla”.
  • Otto Wels (socialdemocratico): “Nessuna legge vi dà il potere di distruggere idee eterne come la libertà”.

Dati e Cronologia

DataEventoConseguenza
30 gen 1933Hitler nominato cancelliereInizia lo smantellamento legale della democrazia.
28 feb 1933Decreto dopo l’incendio del ReichstagSospensione dei diritti civili, repressione del KPD.
5 mar 1933Elezioni con intimidazioniNazisti al 44%, ma maggioranza con i comunisti esclusi.
23 mar 1933Approvazione legge dei pieni poteriHitler governa per decreto, fine della separazione dei poteri.

Conclusione

Ryback dimostra che Hitler non conquistò il potere con un colpo di stato, ma approfittando di una democrazia già fragile, della paura delle élite verso il comunismo e della passività delle istituzioni. Un monito per il presente: “Le democrazie muoiono più spesso per suicidio che per omicidio” (Carl Friedrich).

Opere citate:

  • Timothy W. Ryback, Takeover: Hitler’s Final Rise to Power (2024).
  • Hans Frank, Memorie al processo di Norimberga.

Per approfondire:

  • La biblioteca di Hitler (Ryback, 2008) su come la cultura fu strumentalizzata dal nazismo.
  • La caduta della democrazia di Jan-Werner Müller (analisi comparata delle crisi democratiche).

LIBERATI A NOI? LIBERATI VU SARETE VOI!

Anna Maria Guideri 24-3-25

(La liberazione non è per tutti i gusti!)

Perché i tristi eredi del regime sconfitto dalla lotta di liberazione dovrebbero inneggiare alla liberazione se non volevano essere liberati? L’esclusione del partito fascista dall’arco costituzionale – poi rientratovi sotto mentite spoglie – non è stata una liberazione, ma un tremendo oltraggio subito per mano di coloro che hanno usurpato il trono a Mussolini e gli hanno scippato la patria e il sogno dell’impero. Hanno masticato fiele per 80anni baloccandosi con tentativi vari di golpe e attentati terroristici falliti per distruggere la repubblica democratica nata dalla Resistenza che li ha sconfitti e ora ne dovrebbero celebrare la nascita e il trionfo sulle spoglie del regime che loro hanno amato e servito fedelmente … Ma cosa si pretende dai comuni mortali? Anche i fascisti hanno un cuore che batte sotto la camicia nera! Il 25 Aprile per loro è la data più funesta, il cosiddetto giorno più lungo. La Repubblica Italiana è il loro peggior nemico; si sentono prigionieri, non liberi. Governano sì, ma non sono per niente liberi di dire e di fare quello che vogliono … A che serve stare al potere se poi devono fingere di essere democratici abbracciando Liliana Segre, parlando bene di Papa Francesco, arrampicandosi sugli specchi per dire che non sono fascisti mentre vorrebbero gridarlo ai quattro venti con orgoglio, petto in fuori e pancia in dentro? Che fatica poveretti! Ma chi gliel’ha fatto fare di vincere le elezioni? Loro ci provano e ci riprovano a uscire dalle righe, ma c’è una vigile sentinella che ad ogni intemperanza, ad ogni tentativo di insubordinazione, intima l’alt ed è la nostra Costituzione – ben rappresentata dal Presidente Mattarella – i cui principi tutelano ancora il diritto alla libertà di stampa la quale, in gran parte, non si è ancora allineata al nuovo corso della storia. Per fortuna, anche se il comune sentire attualmente li favorisce mostrando di gradire i loro frequenti attacchi alla democrazia, la Costituzione è un solido pilastro contro il quale rischiano di rompersi la testa. Questo lo sanno e perciò i vari ministri, ma soprattutto Giorgia Meloni, interpretano, a seconda delle occasioni ufficiali o ufficiose, varie parti in commedia, ora urlando e sbraitando, ora assumendo toni e atteggiamenti più moderati e diplomatici, con l’intento più o meno palese di resuscitare il ventennio se pur riveduto e corretto. Sarebbe proprio una beffa crudele se quest’anno, morto il papa per Pasqua, resuscitasse, anziché Cristo, il famigerato ventennio! Ma per ora il nostro baluardo eretto a difesa della democrazia non vacilla, resiste, non a caso la Costituzione è nata dalla RESISTENZA!

Anna Maria Guideri 24-04-2025

Grande è la confusione, sotto il cielo di Wall Street

FONTE Facebook Alessandro Volpi 23-4-25

Per provare a fare chiarezza rispetto ad un luogo comune troppo semplicistico. Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, ha sostenuto l’opportunità di attenuare le tensioni commerciali con la Cina. Mi sembra inevitabile che l’amministrazione Trump riveda le ipotesi di una “guerra dei dazi” con l’ex impero celeste. C’è un dato che più di ogni altro sconsiglia, infatti, Trump di perseguire tale strada. Il debito federale degli Stati Uniti è cresciuto dal 2020 al 2024 di 2300 miliardi di dollari ogni anno: una volume di titoli enorme che ha bisogno di compratori per non svalutarsi e per non pagare interessi stellari, il cui ammontare è già pari a circa 1000 miliardi di dollari e con il recentissimo rialzo dei rendimenti conoscerà un ulteriore aumento non distante dai 500 miliardi di dollari. Dunque, per non fallire gli Stati Uniti hanno bisogno della fiducia dei risparmiatori mondiali che viene veicolata dai grandi fondi e dalle grandi banche, di cui i fondi sono azionisti di riferimento. Tale fiducia non può reggere ad uno scontro frontale tra Stati Uniti e Cina perché la tenuta del dollaro, la moneta in cui è denominato il debito Usa, dipende dal suo utilizzo da parte della stessa Cina nei propri scambi mondiali. In questo senso, la perdita di valore del debito americano e la sua maggiore onerosità per il Tesoro degli Stati Uniti non dipendono certo dalla vendita di tale debito da parte della Cina, che ormai ha meno di 750 miliardi di dollari di debito Usa su un totale di quasi 37 mila miliardi, ma dalla forza che la Cina ha assunto negli scambi internazionali. La potenza economica cinese a livello globale è così rilevante che un suo eventuale conflitto commerciale con gli Stati Uniti spaventa a tal punto la grande finanza da indurla a vendere il debito americano per la paura di un suo crollo generato proprio da un simile scontro. Se poi si riducessero anche le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti per effetto dei dazi, la dollarizzazione sarebbe ulteriormente messa a repentaglio e il debito Usa accelererebbe il proprio declino. A ciò bisogna aggiungere che le più generali tensioni finanziarie indotte da una guerra dei dazi fra Cina e Usa stanno determinando il crollo di numerosi titoli considerati sicuri come quelli delle big tech e stanno obbligando i possessori di tali titoli a vendere titoli di Stato Usa per coprire le perdite. In estrema sintesi, la svalutazione del debito Usa non dipende dalla sua vendita da parte dei cinesi ma da una ben più generale dipendenza dell’intera economia degli Stati Uniti dalla Cina