PADELLARO UNO E TRINO

Anna Maria Guideri 1 maggio 2025
Segue un link all’articolo di Alexandro Sabetti : “Il feticcio del fascismo: sempre evocato, temuto, ma quando c’è nessuno lo vede” su https://www.kulturjam.it/ da cui è stata tratta l’immagine


(Governano i fascisti e il problema è l’antifascismo)

In questo periodo è difficile sfuggire alle apparizioni di Antonio Padellaro ospite molto richiesto nei vari talk show televisivi per presentare il suo libro Antifascisti immaginari. A quanto pare in questa sua recente fatica l’autore sostiene – a mio parere piuttosto spericolatamente – la tesi secondo la quale dichiararsi antifascisti fa male alla salute politica della sinistra, mentre farebbe bene alla destra. È sempre la logora tiritera gradita -inspiegabilmente – ai sedicenti, supponenti di sinistra e con qualche ragione in più, alla destra. Si comprende facilmente perché Italo Bocchino e i suoi followers reputino obsoleto essere antifascisti, si capisce un po’ meno se lo pensa anche Padellaro che, al netto di qualche lontana simpatia per Bettino Craxi, si era onorevolmente riscattato optando decisamente per la sinistra al punto da aver diretto, all’inizio del 2000, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, L’Unità. Ma che gli è preso a Padellaro? Una folgorazione sulla via di Travaglio? Ha ricevuto una botta in testa dalla Schlein? O forse sta valutando l’opportunità di riposizionarsi in vista dei futuri stravolgimenti geopolitici ad opera della destra mondiale? Padellaro uno e trino: dal periodo craxista, al periodo comunista, al periodo qualunquista … ? Quella di Padellaro non mi sembra una trovata molto originale visto che è da quel dì che gli spiriti illuminati (ma non illuministi) fanno a gara a dare addosso al 25 Aprile e agli antifascisti anziché ai fascisti! Con l’aggravante, per Padellaro, di prendersela con gli antifascisti dopo che, parafrasando Bersani, la mucca è uscita dal corridoio ed è entrata nella stanza dei bottoni. Per lui l’antifascismo non ha motivo di esistere in quanto manca l’oggetto del contendere: il fascismo, che è stato definitivamente sconfitto nel ’45. Amen. Se il fascismo non c’è più, che ci azzecca l’antifascismo? Insomma, se Mussolini è morto, quelli che governano oggi, compreso La Russa, non gli somigliano per “gniente”. I non meglio identificati individui erroneamente sospettati – dai malintenzionati antifascisti – di fascismo, possono pure presentare sintomi evidenti di intolleranza alla democrazia come inneggiare al duce, essere razzisti, xenofobi, omofobi, fare il saluto romano, andare in pellegrinaggio a Predappio e ad Acca Larentia … ma non sono fascisti. Sono senz’altro grotteschi, ridicoli e fuori tempo … esattamente come gli antifascisti che li prendono sul serio, ma non possono essere fascisti perché il fascismo non c’è più. A tale proposito la storica Michela Ponzani chiarisce in modo esemplare: Il vero problema non è l’antifascismo, ma l’indulgenza con cui il fascismo viene trattato, minimizzato e tollerato a fronte della durezza con la quale viene trattata da questo governo la celebrazione della Resistenza … Pesi e misure vergognosamente sbilanciati per affermare un colossale falso storico e cioè che coloro che hanno devastato l’Italia sono meno colpevoli di coloro che l’hanno salvata. E ancora Ponzani: In un momento così critico per la nostra democrazia in Italia e nel mondo c’era proprio bisogno di scrivere un libro contro l’antifascismo? Le sottili disquisizioni sulla correttezza dell’uso del termine antifascismo riferito all’attualitàgenerano il fraintendimento che si tratti di una questione lessicale, non sostanziale. L’antifascismo non è un esercizio di stile, non è roba per gli accademici della Crusca, ma è un termine che definisce la contrapposizione netta e definitiva al fascismo, una tragica realtà storica e al tempo stesso una questione di natura filosofica e sociologica che riguarda profondamente l’essere umano e il suo rapporto con la comunità in cui vive. Il fascismo non è un passato che non torna, ma un passato che non passa. Scrive il filosofo Sergio Labate su Domani: L’antifascismo non contiene dentro di sé una retorica carnevalesca, ma è esso stesso una tragica memoria di morti che non chiedono “sobrietà”, ma verità. Come possiamo ovviare a quella che Michela Ponzani definisce la cristallizzazione retorica delle celebrazioni del 25 Aprile che ne hanno logorato la memoria svuotandola della sua drammatica eredità di dolore, di morte, di appassionata rinascita? Riscoprendone il valore storico, etico, umano, di coraggio, di sacrificio, di dono. È realistico pensare che in Italia si possa parlare di democrazia senza definirla antifascista? E l’antifascismo è un falso problema? Sì, solo per i fascisti!

Anna Maria Guideri 30-04-2025

LINK all’articolo di Alexandro Sabetti su Kulturjam

Non importa grattare, il sudicio riaffiora lo stesso

FONTE Facebook 26-4-25 Giberto Gnisci ripropone un post di Leonardo Cecchi
TITOLO redazionale

Meloni impazzita. Ferocissima e stracolma di bile si scaglia contro Guccini. Non aspettava altro che l’occasione giusta.
Il motivo? Perché Guccini ha rivisitato Bella Ciao mettendocela dentro. Anzi, associando i fascisti ad alcuni suoi seguaci. E lei si è imbestialita. Imbestialita.
No no, non ci sta. Perché evidentemente la Meloni non vuole passare per fascista. Ma figurarsi. E come darle torto?
L’ha dimostrato bene ieri, quando alla Camera tutti i deputati si sono alzati ad applaudire per commemorare il 25 aprile. E i suoi sono rimasti seduti.
L’ha dimostrato bene oggi, non spendendo una parola (una) sul 25 aprile, che è festa nazionale, riuscendo in questo a farsi battere persino da Salvini.
Lo dimostra bene il suo braccio destro e sodale Ignazio La Russa, che prima ha proposto di abolire la stretta di mano per tornare al saluto fascista per poi proporre di “cambiare” il 25 aprile perché “divisivo”.
Lo dimostrano bene i suoi alleati internazionali come Orban, che chiudono i parlamenti e chiedono pieni poteri.
Lo dimostrano i suoi dirigenti locali, che ogni tre per due organizzano cene in onore di Mussolini o vanno in giro gridando di “avere il diritto di dirsi fascisti”.
Quindi la capiamo bene la Meloni.
E non capiamo come Guccini possa così assurdamente aver accostato il suo partito al fascismo.
Nella stessa maniera in cui non capiamo (davvero) come lei faccia a non perdere occasione per tacere per rispetto della sua stessa dignità.
Leonardo Cecchi

Dal suicidio imperiale al disaccoppiamento impossibile

I mutamenti nell’ordine globale si intrecciano con le scelte strategiche delle grandi potenze. Negli articoli analizzati — firmati da Shlomo Ben-Ami, Joschka Fischer e Lorenzo Lamperti — emerge un quadro di tensione crescente: gli Stati Uniti, più che affrontare una minaccia esterna come la Cina, sembrano avviati su una traiettoria di autodistruzione interna, alimentata da pulsioni imperialiste e isolazioniste. Al contrario, Pechino, consapevole dei propri limiti e della complessità delle catene globali, adotta una diplomazia di apertura verso Asia ed Europa. La dinamica tra il “suicidio imperiale” americano e il “disaccoppiamento impossibile” cinese traccia i confini di un’epoca segnata dall’incertezza e dalla ridefinizione delle alleanze.
SINTESI by ChatGPT

In un mondo in rapida trasformazione, gli Stati Uniti sembrano avviati su una traiettoria di declino autoindotto, più che vittime di una sfida esterna. Shlomo Ben-Ami e Joschka Fischer, nei loro interventi su Domani, denunciano come le scelte imperialiste e isolazioniste — soprattutto nella versione trumpiana — abbiano accelerato l’erosione della leadership americana, isolandola sia sul piano politico sia su quello economico.
Parallelamente, come evidenzia Lorenzo Lamperti su Il Manifesto, la Cina adotta una strategia di apertura verso Asia ed Europa, consapevole che il disaccoppiamento totale dall’Occidente è impraticabile a causa delle profonde interdipendenze globali.
Il quadro che emerge non è quello di una nuova “guerra fredda” lineare, ma di una complessa riconfigurazione multipolare, in cui il suicidio imperiale americano e l’impossibile disaccoppiamento cinese disegnano un futuro denso di incertezze e opportunità.

SEGUE:
Schede sintetiche : Breve esposizione analitica dei testi : Sintesi coordinata
Leggi tutto “Dal suicidio imperiale al disaccoppiamento impossibile”

COME RICONOSCERE I FASCISTI DI OGGI

di Anna Maria Guideri

(istruzioni per l’uso)

1 – Non aspettatevi di riconoscere i fascisti in quanto nemici del popolo, li riconoscerete invece da quanto lo adulano e lo manipolano.
2 – Non riconoscerete i fascisti dall’odio contro la democrazia, ma dal fatto che si vantano di essere loro, e non gli antifascisti, i veri democratici.
3 – Non riconoscerete i fascisti dal disprezzo verso le donne, ma da come le lodano se si comportano come vogliono loro.
4 – Non riconoscerete i fascisti da come limitano la libertà di espressione, ma da come fanno passare per abuso, l’uso che gli antifascisti ne fanno.
5 – Non riconoscerete i fascisti tanto dall’esternazione del loro odio razziale, ma da come cercheranno di farvi credere che gli odiati dai diversi siete voi.
6 – Non riconoscerete i fascisti dalla negazione esplicita dei diritti umani, ma dal fatto che cercheranno di convincervi che chi li nega sono gli antifascisti.
7 – Non riconoscerete i fascisti dalla lavanda gastrica dell’olio di ricino, ma dal lavaggio di cervello dei social.
8 – Non riconoscerete i fascisti dalla discriminazione dei deboli, ma dal fatto che vi vorranno convincere che i deboli sono i forti.
9 – Non riconoscerete i fascisti dalla loro disumanità, ma dal fatto che vi vorranno far credere che ciò che è male per l’essere umano è invece il suo bene.
10 – Non riconoscerete i fascisti perché sottovalutano l’importanza della cultura, ma perché vorranno farvi credere che l’unica cultura che conta è quella fascista.
11 – Non riconoscerete i fascisti dalla negazione della verità storica, ma dal loro tentativo di farvi credere che, a dispetto dei fatti, gli unici che la possiedono sono loro.
12 – Non riconoscerete i fascisti perché negano il valore della Resistenza, ma perché tentano di convincervi che gli unici che hanno davvero resistito al nemico sono i repubblichini di Salò!

Anna Maria Guideri, 25-04-2025

Dazi Globali, Rotte Locali: L’Europa alla Prova del Cambiamento e la Cina ringrazia

SINTESI by ChatGPT di 3 articoli sull’argomento
TITOLO redazionale
IMMAGINE creata da ChatGPT

1. Fonti analizzate

  • L’Europa alla prova dei dazi globali, DOMANI, 20 aprile 2025.
  • Boom di pacchi dalla Cina. Il sistema Amazon in tilt, DOMANI, 21 aprile 2025.
  • La Cina ringrazia il compagno Trump, Internazionale n. 1611 (Moira Weigel, The Guardian).

2. Sintesi tematica
La crisi della globalizzazione commerciale si manifesta nel crescente impatto delle politiche protezionistiche statunitensi. I dazi voluti da Trump, e oggi confermati anche da Biden, mirano a ridurre la dipendenza americana dalla Cina ma generano conseguenze inattese: il commercio globale si ristruttura, nuovi canali si aprono, altri si saturano o collassano.

In Europa, i dazi imposti da Washington colpiscono indirettamente anche le imprese europee. Alcune vengono scavalcate nella filiera, altre si trovano travolte da una nuova ondata logistica di importazioni dirette dalla Cina, favorita dalle piattaforme e-commerce come Temu e Shein. Il sistema Amazon si trova così sotto pressione, e i piccoli centri di smistamento sono travolti da milioni di pacchi provenienti direttamente dagli hub asiatici.

Leggi tutto “Dazi Globali, Rotte Locali: L’Europa alla Prova del Cambiamento e la Cina ringrazia”

Mare e deserto / di papa Francesco

Il discorso “Mare e deserto” di Papa Francesco è stato pronunciato durante l’Udienza Generale del 28 agosto 2024. In questa catechesi, il Papa ha riflettuto sul dramma delle migrazioni, evidenziando le difficoltà che i migranti affrontano attraversando mari e deserti per cercare sicurezza e pace. Ha sottolineato come questi luoghi, spesso simbolici nella Bibbia, siano diventati tragicamente cimiteri per molti migranti

Mare e deserto : queste due parole ritornano in tante testimonianze che ricevo, sia da parte di migranti, sia da persone che si impegnano per soccorrerli. E quando dico “mare”, nel contesto delle migrazioni, intendo anche oceano, lago, fiume, tutte le masse d’acqua insidiose che tanti fratelli e sorelle in ogni parte del mondo sono costretti ad attraversare per raggiungere la loro meta. E “deserto” non è solo quello di sabbia e dune, o quello roccioso, ma sono pure tutti quei territori impervi e pericolosi, come le foreste, le giungle, le steppe dove i migranti camminano da soli, abbandonati a sé stessi.
Migranti, mare e deserto. Le rotte migratorie di oggi sono spesso segnate da attraversamenti di mari e deserti, che per molte, troppe persone – troppe! – risultano mortali. Per questo voglio soffermarmi su questo dramma, questo dolore. Alcune di queste rotte le conosciamo meglio, perché stanno spesso sotto i riflettori; altre, la maggior parte, sono poco note, ma non per questo meno battute.
Del Mediterraneo ho parlato tante volte, perché sono Vescovo di Roma e perché è emblematico: il mare nostrum , luogo di comunicazione fra popoli e civiltà, è diventato un cimitero. E la tragedia è che molti, la maggior parte di questi morti, potevano essere salvati. Bisogna dirlo con chiarezza: c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave. Non dimentichiamo ciò che dice la Bibbia: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai” (Es 22,20). L’orfano, la vedova e lo straniero sono i poveri per eccellenza che Dio sempre difende e chiede di difendere.
Anche alcuni deserti, purtroppo, diventano cimiteri di migranti. E pure qui spesso non si tratta di morti “naturali”. No. A volte nel deserto ce li hanno portati e abbandonati. Tutti conosciamo la foto della moglie e della figlia di Pato, morte di fame e di sete nel deserto. Nell’epoca dei satelliti e dei droni, ci sono uomini, donne e bambini migranti che nessuno deve vedere: li nascondono. Solo Dio li vede e ascolta il loro grido. E questa è una crudeltà della nostra civiltà.
In effetti, il mare e il deserto sono anche luoghi biblici carichi di valore simbolico. Sono scenari molto importanti nella storia dell’esodo, la grande migrazione del popolo guidato da Dio mediante Mosè dall’Egitto alla Terra promessa. Questi luoghi assistono al dramma della fuga del popolo che scappa dall’oppressione e dalla schiavitù. Sono luoghi di sofferenza, di paura, di disperazione, ma nello stesso tempo sono luoghi di passaggio per la liberazione – e quanta gente passa per i mari, i deserti per liberarsi, oggi – , sono luoghi di passaggio per il riscatto, per raggiungere la libertà e il compimento delle promesse di Dio.
C’è un Salmo che, rivolgendosi al Signore, dice: “Sul mare la tua via / i tuoi sentieri sulle grandi acque” (77,20). E un altro canta così: “Guidò il suo popolo nel deserto, / perché il suo amore è per sempre” (136,16). Queste parole sante ci dicono che, per accompagnare il popolo nel cammino della libertà, Dio stesso attraversa il mare e il deserto; Dio non rimane a distanza, no, condivide il dramma dei migranti, Dio è con loro, con i migranti, soffre con loro, con i migranti, piange e spera con loro, con i migranti. Ci farà bene pensare: il Signore è con i nostri migranti nel mare nostrum , il Signore è con loro, non con quelli che li respingono.
Fratelli e sorelle, su una cosa potremmo essere tutti d’accordo: in quei mari e in quei deserti mortali, i migranti di oggi non dovrebbero esserci – e ce ne sono, purtroppo. Ma non è attraverso leggi più restrittive, non è con la militarizzazione delle frontiere, non è con i respingimenti che otterremo questo risultato. Lo otterremo invece ampliando le vie di accesso sicure e le vie di accesso regolari per i migranti, facilitando il rifugio per chi scappa da guerre, dalle violenze, dalle persecuzioni e dalle tante calamità; lo otterremo favorendo in ogni modo una governance globale delle migrazioni fondata sulla giustizia, sulla fratellanza e sulla solidarietà. E unendo le forze per combattere la tratta di esseri umani, per fermare i criminali trafficanti che senza pietà sfruttano la miseria altrui.
Cari fratelli e sorelle, pensate a tante tragedie dei migranti: quanti muoiono nel Mediterraneo. Pensate a Lampedusa, a Crotone… quante cose brutte e tristi. E vorrei concludere riconoscendo e lodando l’impegno di tanti buoni samaritani, che si prodigano per soccorrere e salvare i migranti feriti e abbandonati sulle rotte di disperata speranza, nei cinque continenti. Questi uomini e donne coraggiosi sono segno di una umanità che non si lascia contagiare dalla cattiva cultura dell’indifferenza e dello scarto: quello che uccide i migranti è la nostra indifferenza e quell’atteggiamento di scartare. E chi non può stare come loro “in prima linea” – penso a tanti bravi che stanno lì in prima linea, a Mediterranea Saving Humans e tante altre associazioni – non per questo è escluso da tale lotta di civiltà: noi non possiamo stare in prima linea ma non siamo esclusi; ci sono tanti modi di dare il proprio contributo, primo fra tutti la preghiera. E a voi domando: voi pregate per i migranti, per questi che vengono nelle nostre terre per salvare la vita? E “voi” volete cacciarli via.
Cari fratelli e sorelle, uniamo i cuori e le forze, perché i mari e i deserti non siano cimiteri, ma spazi dove Dio possa aprire strade di libertà e di fraternità.

Il papa della complessità

FONTE Facebook Pierluigi Fagan 25-4-25
TITOLO REDAZIONALE

SI POTREBBE TUTTI QUANTI ANDARE AL TUO FUNERALE…

(Passata la tempesta dei primi commenti me ne permetto uno anche io) Pierluigi Fagan

Franceso I era a capo di una comunità di credenti di circa 1,4 mld di persone. Distribuita nei vari paesi del mondo, anche quando non fa maggioranza assoluta lo è spesso relativa o è minoranza qualificata. Socialmente, culturalmente e quindi politicamente, ripartita per stati e società questa comunità pesa più della sua stretta numerica. In più, Francesco I veniva dal Sud America, guardava spesso all’Asia (e la Cina, vecchio pallino gesuita) e curava la penetrazione della sua Chiesa in Africa. In ottimi rapporti con l’area ortodossa, meno con la protestante (non tanto con gli anglicani ma con le sette americane), meno ancora con l’area ebraica, equilibrato nelle relazioni con l’islam a differenza del suo predecessore.
Insomma, possiamo pesare la sua influenza diretta e indiretta, come leader culturale di opinione, come influente per l’immagine di mondo, almeno al doppio della sua stretta area di credenza, il che ne ha fatto -sotto questo punto di vista- l’individuo più importante in senso globale e di gran lunga.
La maggioranza votante Bergoglio al Conclave condivideva se non altro l’idea generale che l’istituzione che dovrebbe curare ma anche espandere la credenza, dovendo guardare al presente ma anche il futuro del mondo, non poteva che constatare la contrazione di peso degli occidentali e l’espansione enorme dell’Africa ed il peso altrettanto enorme dell’Asia. Assieme al Sud America, queste tre aree pesano oggi l’85% del mondo, l’88% nel 2050. Non credo che queste considerazioni scompaiano come riferimento per l’elezione del successore, al di là del fatto che poi la “missione” può essere espletata in molti modi e diversi equilibri tra la cura dell’esterno e quella dell’intero della Chiesa, una vocazione “internazionalista” rimarrà base per la scelta del successore.
La struttura dell’opinione tra Bergoglio e la grande area di chi, direttamente o indirettamente, ha risentito della sua influenza culturale, è quindi immensa e variegata. Da cui la pluralità di giudizi, sentimenti, interpretazioni. Il primo discrimine che si può fare è tra chi è interno a quella credenza o altra credenza spirituale e chi no.
Molti laici, non credenti, agnostici o atei (categorie di malferma definizione visto che spesso sono state date dai credenti), hanno apprezzato il profilo culturale di Bergoglio. Ricordo che Bergoglio era gesuita, il primo papa gesuita (ordine nato nel 1540, da sempre discusso dentro la Chiesa), l’ordine la cui missione principale è proprio il ruolo di corpo diplomatico culturale rivolto al mondo non espressamente cattolico. Ma anche qua, se ne possono dire di tutti colori a seconda dell’ideologia professata o del peso che si dà a certe cose, dall’entusiasmo per il suo terzomondismo anticapitalista e tendenzialmente egalitario ed ecologista ai mal di pancia di chi ne ha censurato altri aspetti.
Dal mio punto di vista, di studioso delle immagini di mondo che si occupa più spesso della struttura del “come” pensiamo che non del “cosa” pensiamo, Bergoglio era un alleato per la promozione della cultura della complessità, il che -in assoluto ma di questi tempi in particolare- era ed è una rarità.
Poco dopo eletto. Bergoglio emanò una enciclica dal titolo “Laudato sii” che recensii sul mio blog (link nel primo commento, chi vuole può dargli almeno uno sguardo, vale la pena, non l’articolo ma il contenuto e la forma dell’enciclica). La definii una “enciclica della complessità” con un certo entusiasmo intellettuale. Ma al di là del trasporto emotivo di chi sa di essere minoranza e trova rispecchiamento in un nuovo “amico nel pensiero”, per altro così “importante”, direi che ai contenuti di quella enciclica Bergoglio ha poi dato seguito coerente.
Senza tediare con lunghi elenchi di citazioni, estrapolo solo due pezzi esemplificativi.
Il primo è quel “Qualcuno può dirmi: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sono soltanto contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi”. La battaglia tra semplificanti con tendenze manichee (manicheismo preistoria del cristianesimo stesso) e complessisti, con i primi al grido di “c’è un invasore e un invaso” come se la storia del caso iniziasse il 24 febbraio 2022, senza cause, senza grovigli di cose ignote ai più che si accorgono dei problemi del mondo solo quando esplodono in schizzi di pus, è poi andata avanti e continua sino ad oggi. Ma trattandosi di battaglie sul come pensiamo, è normale portino via aspre dialettiche, anche odii intellettuali profondi e soprattutto molto tempo. Provare a cambiare le forme del mentale porta via molto tempo. È anche una battaglia tra ignoranti emozionati (nel senso che ignorano la struttura dell’argomento su cui esprimono giudizi, a quel punto “giocoforza” emotivi) e osservatori razionali, vecchia quanto l’umanità e più spesso, specie in tempi storici tormentati, persa dai secondi.
Il secondo è quel “C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di “senso della complessità”. Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità” espresso in una lettera al direttore del Corsera di fine marzo. Che seguiva un esplicito invito rivolto ai formatori di opinione “Vorrei incoraggiare lei e tutti coloro che dedicano lavoro e intelligenza a informare, attraverso strumenti di comunicazione che ormai uniscono il nostro mondo in tempo reale: sentite tutta l’importanza delle parole. Non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani”.
A cui ha fatto seguito il discorso alla Via Crucis sul mondo sempre più “a pezzi”, un sistema umano sempre più fratturato che avrebbe bisogno di nuovi tessitori, rammendatori, cucitori. Tra culture, civiltà, stati, nazioni, dentro le nazioni tra strati sociali. Non solo per astratto sentimento di pace, fratellanza e giustizia, prima ancora per realistica presa d’atto che l’unica via che abbiamo è adattarsi reciprocamente e tutti gli umani al pianeta che ci ospita. Forse questo papa è stato il primo, vero, “mondologo”, chi assume l’intero mondo come oggetto del pensiero.
Be’ non c’è da meravigliarsi che un gesuita si esprima, pur con immediata semplicità linguistica, a tale livello proprio delle immagini di mondo. E tuttavia non si può non rimarcare la rarità di tale approccio.
Quindi, no, domani altri andranno al suo funerale, io posso solo dire che la sua dipartita mi dispiace intellettualmente ed umanamente molto.

Pierluigi Fagan, 25-4-25

Pasqua in casa Vegni

FONTE Facebook Sandra Vegni 20-4-25

In casa Vegni l’educazione religiosa era binaria.
«Perché devo andare alla Messa quando nessuno di voi ci va?»
«Ci vai perché sei piccina, poi da grande farai come ti pare.» Questa la risposta, non proprio bene articolata.
Fino a dieci anni ho vissuto in una famiglia patriarcale, sei adulti e io bambina, dove il patriarca, nonno Luigi, contava meno del due di briscola. Per vivere tranquillo si rimetteva serenamente a quello che decidevano le due nuore e i suoi figli. Punto. Infatti era un omino pacato, dolce e affettuoso. E molto silenzioso, la bocca occupata a sostenere il sigaro toscano nei giorni festivi e la pipa con il trinciato gli altri giorni.
Anche il precetto “…comunicarsi almeno a Pasqua” veniva disatteso con la scusa che c’era da star dietro ai fornelli e non si poteva perder tempo a infiocchettarsi e andare in chiesa. Un giorno valeva l’altro. E poi l’Amalia si era ‘fatta’ la domenica delle Palme, perché lei all’ulivo benedetto ci teneva e tornava con un fascio che distribuiva a parenti e amici. Quello fresco andava a sostituire, dietro i quadretti a capo del letto, il rametto dell’anno prima che, a toccarlo, si sbriciolava subito.
Le uova da benedire? C’era la Sandrina che, almeno a Pasqua, poteva andare alla messa delle undici con un compito preciso. Le uova, già sbucciate (così la benedizione arrivava meglio) venivano accomodate in una scodella del servito ‘bono’, avvolta in tovagliolo bianco con l’orlo ‘a giorno’ e le cocche annodate facevano da maniglia. Un uovo era segnato da un frammento di guscio: era quello per il babbo; gli piaceva poco cotto, con il tuorlo denso ma non rappreso.
Il cestino m’impicciava ma mi sentivo importante. Le uova venivano deposte vicino all’altare e bisognava aspettare la fine della funzione per riprenderle e andare via. Poi, con il tempo, i cestini semplici e rudimentali vennero man mano sostituiti da veri cestini che contenevano anche uova di cioccolato decorate di zucchero colorato e gingilli vari; i tovaglioli bianchi da una sorta di tovagliette ricamate a mano. Il mio cestino sfigurava.
L’Amalia nell’armadio aveva bellissime tovagliette ‘da tè’ che non venivano mai usate perché il tè non le piaceva e tanto in casa non si ‘riceveva’ mai. Le chiesi di usarle per le uova.
«Checchecchè! Poi va lavata e stirata.» I tovaglioli bianchi si usavano tutti i giorni e andavano in varechina.
Poi la famiglia patriarcale, ormai senza patriarca, si dissolse in due nuclei distinti; cambiammo casa e le uova venivano in tavola a Pasqua senza benedizione. Solo per tradizione. Tanto il Signore vede e provvede…
La casa divenne Vegni-Innocenti e l’Amalia trascorse con noi gli ultimi anni della sua vita. Era diventata una vecchietta petulante e m’impicciava in cucina annusando l’aria e scoperchiando pentole senza neanche provare a rimestarle.
«Ma perché non vai alla Messa, mammina?» Almeno una volta l’anno…
Per darle una motivazione concreta le affibbiavo un cestino con le uova assodate ancora da sgusciare.
Brontolando si avviava verso la chiesa vicina, seccata ma vestita bene. Le piaceva vestirsi bene.
Tornava sempre scocciata. «Oh, come l’ha fatta lunga, quel prete! Unne potevo più. Se non c’avevo le uova, tornavo a casa subito.»
La benedizione, si sa, arriva alla fine.
Ora, solo per tradizione perché un uovo sodo ingerito a inizio pranzo m’ingolfa inutilmente e poi devo pensare anche al colesterolo, faccio bollire due uova, le taglio a spicchi e le infilo, armonicamente, nel vassoio degli antipasti.
Che dire? Buona Pasqua e pace in terra agli uomini di buona volontà. Anche se, mi sembra, ne son rimasti pochi.

Sandra Vegni 20-4-25

Dazi Globali, Rotte Locali: L’Europa alla Prova del Cambiamento

Tra nuove tensioni commerciali e sfide tecnologiche, l’Unione Europea si trova davanti all’opportunità di ridisegnare il proprio ruolo economico e produttivo nello scenario globale.
SINTESI by ChatGPT di 2 articoli pubblicati su DOMANI

L’inasprimento dei dazi, in particolare da parte degli Stati Uniti sotto la guida di Donald Trump, sta provocando scosse significative nella geografia economica mondiale. Le filiere logistiche si accorciano, la domanda di trasporti cambia volto e i grandi equilibri industriali — dall’automotive all’aerospaziale — sono messi in discussione. Ma in questo scenario fluido e incerto, l’Europa ha la possibilità di cogliere una nuova centralità, puntando su digitalizzazione, concorrenza leale e investimenti strategici in tecnologia e infrastrutture. La sfida? Trasformare le pressioni globali in leva di rilancio locale, riconfigurando rotte produttive e politiche industriali con lo sguardo rivolto al futuro.

Ecco una sintesi coordinata dei due articoli pubblicati su Domani il 24 aprile 2025, a firma di Marco Ponti e Mila Fiordalisi, che affrontano da prospettive complementari gli effetti della nuova ondata di protezionismo commerciale guidata dagli Stati Uniti:


Leggi tutto “Dazi Globali, Rotte Locali: L’Europa alla Prova del Cambiamento”

Morte di una democrazia

FONTE Una democrazia smantellata in cinquantatré giorni Timothy W. Ryback
Internazionale Numero 1608 del 4 aprile 2025  (adattamento da The Atlantic)

T.W.Ryback , sul n°  1608 di Internazionale, condensa una parte importante della storia mondiale  recente: l’ascesa al potere di Hitler, ottenuta seguendo formalmente le leggi e quindi “con mezzi democratici”,  sfruttando “la potenziale debolezza intrinseca di ogni aspetto formale della legge”, come sostenuto da Hans Frank, poi condannato a Norimberga per le atrocità commesse.

La strategia messa a punto da questo avvocato, e messa in pratica da Hitler, comprendeva:

“ epurazione dei funzionari chiave dello stato per sostituirli con suoi fedelissimi, ottenere pieni poteri  ”con legge, approvata dal parlamento ” per poter rispettare le promesse elettorali: rilanciare l’economia, aumentare le spese militari, ritirarsi dai trattati internazionali, purgare il paese dagli stranieri che avvelenavano il sangue della nazione, e vendicarsi degli avversari politici”

Una strategia messa a punto dopo il fallimento del colpo di stato di Monaco.

Si sa che la storia ripete in farsa quella che era stata una tragedia. 

C’è qualcuno che scorge l’avvio di questa farsa nella nuova amministrazione degli U.S.A?

Enrico Tendi, 23-4-25

Di seguito la sintesi dell’articolo elaborata dall’ intelligenza artificiale

Presentazione dell’Articolo

Titolo“Una democrazia smantellata in cinquantatré giorni”
Autore: Timothy W. Ryback
FonteInternazionale (adattamento da The Atlantic)

Contesto:
L’articolo ricostruisce in dettaglio i 53 giorni che seguirono la nomina di Adolf Hitler a cancelliere della Germania il 30 gennaio 1933, mostrando come il regime nazista smantellò la Repubblica di Weimar usando strumenti legali e costituzionali. Attraverso documenti storici e testimonianze, Ryback svela il metodo sistematico con cui Hitler neutralizzò le opposizioni, manipolò le istituzioni e instaurò una dittatura, trasformando una democrazia in un totalitarismo senza ricorrere inizialmente a un colpo di stato violento.

Tesi centrale:

  • Hitler sfruttò le debolezze strutturali della costituzione di Weimar (es. articolo 48 sui poteri d’emergenza del presidente) e la complicità passiva delle élite conservatrici (come il presidente Hindenburg e Franz von Papen).
  • L’incendio del Reichstag (27 febbraio 1933) fu il pretesto per sospendere le libertà civili e reprimere i comunisti.
  • La Legge dei pieni poteri (23 marzo 1933), approvata con intimidazioni e accordi politici, segnò la fine della democrazia tedesca.

Sintesi Schematica

1. L’Ascesa Legale di Hitler

  • 30 gennaio 1933: Hitler diventa cancelliere in una coalizione con i conservatori, ma controlla solo 2 ministeri su 11.
  • Strategia: Usa la legalità per distruggere la democrazia, come promesso nel 1930: “Attraverso mezzi costituzionali!”.
  • Ostacoli iniziali:
    • Il partito nazista ha solo il 37% dei seggi al Reichstag.
    • L’opposizione (socialdemocratici e comunisti) controlla il 38%.
    • Il ministro dell’economia Hugenberg gli nega nuove elezioni.

2. La Repressione dell’Opposizione

  • Göring e Frick:
    • Wilhelm Frick (ministro dell’interno) limita la libertà di stampa e centralizza il potere.
    • Hermann Göring (ministro della Prussia) trasforma le SA in polizia ausiliaria, autorizzando violenze.
  • Decreto dell’incendio del Reichstag (28 febbraio 1933):
    • Sospensione delle libertà costituzionali.
    • Arresti di massa di comunisti e chiusura dei giornali di sinistra.

3. Le Elezioni del 5 Marzo e la Legge dei Pieni Poteri

  • Risultati elettorali: I nazisti ottengono il 44%, ma con i comunisti esclusi, Hitler ha la maggioranza dei 2/3.
  • 23 marzo 1933: Il Reichstag vota la Ermächtigungsgesetz (Legge dei pieni poteri):
    • 441 voti a favore (nazisti, conservatori, centro cattolico).
    • 94 contrari (solo i socialdemocratici, guidati da Otto Wels).
    • Conseguenze: Hitler può emanare leggi senza il Parlamento, svuotando la democrazia.

4. La Complicità delle Élite

  • Paul von Hindenburg: Il presidente firma tutti i decreti, illudendosi di controllare Hitler.
  • Franz von Papen: Vicecancelliere, pensa di “addomesticare” i nazisti, ma viene emarginato.
  • Industria e giustizia: Molti giudici e industriali appoggiano Hitler per paura del comunismo.

5. Simboli della Dittatura

  • Giornata di Potsdam (21 marzo): Hitler e Hindenburg si presentano insieme, legittimando il regime.
  • Primi campi di concentramento: Aperti a Dachau e Oranienburg per i dissidenti.
  • Persecuzione degli ebrei: Inizia con le limitazioni professionali e le confische.

6. Lezioni Storiche

  • Debolezze costituzionali: Weimar aveva strumenti per fermare Hitler (es. articolo 48), ma mancò la volontà politica.
  • Importanza delle istituzioni: La magistratura e la stampa cedettero senza resistenza.
  • Analogie con il presente: Ryback invita a riflettere su come le democrazie possano essere smantellate dall’interno.

Citazioni Chiave

  • Hans Frank (avvocato di Hitler): “Il Führer sfruttò ogni debolezza formale della legge con spietatezza”.
  • Joseph Goebbels“La grande beffa della democrazia è che fornisce ai suoi nemici i mezzi per distruggerla”.
  • Otto Wels (socialdemocratico): “Nessuna legge vi dà il potere di distruggere idee eterne come la libertà”.

Dati e Cronologia

DataEventoConseguenza
30 gen 1933Hitler nominato cancelliereInizia lo smantellamento legale della democrazia.
28 feb 1933Decreto dopo l’incendio del ReichstagSospensione dei diritti civili, repressione del KPD.
5 mar 1933Elezioni con intimidazioniNazisti al 44%, ma maggioranza con i comunisti esclusi.
23 mar 1933Approvazione legge dei pieni poteriHitler governa per decreto, fine della separazione dei poteri.

Conclusione

Ryback dimostra che Hitler non conquistò il potere con un colpo di stato, ma approfittando di una democrazia già fragile, della paura delle élite verso il comunismo e della passività delle istituzioni. Un monito per il presente: “Le democrazie muoiono più spesso per suicidio che per omicidio” (Carl Friedrich).

Opere citate:

  • Timothy W. Ryback, Takeover: Hitler’s Final Rise to Power (2024).
  • Hans Frank, Memorie al processo di Norimberga.

Per approfondire:

  • La biblioteca di Hitler (Ryback, 2008) su come la cultura fu strumentalizzata dal nazismo.
  • La caduta della democrazia di Jan-Werner Müller (analisi comparata delle crisi democratiche).