Lettera di Silvia a Luigia

Dalla Serie: Missive impossibili di Sandra Vegni

Lettera di Silvia (Teresa Fattorini)
a Luigia Pallavicini (caduta da cavallo)

Recanati, 18 maggio 1800

Carissima Luigia,
sol da poco mi giunse triste notizia de la tua caduta da cavallo in quel della spiaggia di Sestri Ponente. Così lungi, quella spiaggia, da questa mia che lambisce il basso mar Levantico e le sue scarse onde celate, ahimè, spesso alla vista dall’alta siepe che cinge la casa del ‘mio’ poeta.
Quanto diversi – e ‘ahimè’ qui non mi è bastevole a significar lo strazio del mio cuore – i due poeti! Le folte chiome e l’ardimentoso eloquio del tuo amico, lo sguardo fiero e l’eleganza dei suoi passi sebbene – ahi te! – lui se ne vada ognor sempre fuggendo e rare sian le occasioni per fugaci incontri. Ma quanto intensi e leggiadri! Io mi ti immagino, sia pur sofferente, adagiata su soffici cuscini dai leggeri ricami, la mano tremante che riposa fra quelle, calde e forti, del tuo Ugo.

Cuscini per me non ve ne son, salvo le stoffe caduche da disegnar con l’ago: opre femminili cui debbo intendere, sospirando – ahimé di nuovo, che altre parole non sorgono dalla mia mente stanca – mentre sogno agili destrieri scalpitanti e nubi di sabbia levarsi alle mie spalle.
Ben varrebbe una caduta e una gamba da risanare l’afflato del vento che scioglie le mie trecce.
Ma ciò non mi è dato, né mai mi sarà: così mi vuole il poeta e della sua malinconia – non altro – mi fa dono e non esita a far miei i suoi pensieri. Dove mai avrà visto un sorriso perduto dietro a quel vago avvenir che in mente par ch’io abbia?

Pare a lui, forse, ed io or l’osservo, seduta al piano superiore della casa onde liberar il guardo dalla folta siepe e respirar profumo marino. Eccolo, nascosto dalle fronde, in mano un libro consunto, consumar le pietre di un piccolo sentiero. Piccolo, curvo, dall’aria stantìa, la mente che vaga in insondabili pensieri. Sommo, il mio poeta? Non una rima mette insieme, non la musica e il ritmo del tuo Ugo. Evocate sponde, e mari, e lucenti battaglie … sinistri oblii, pallide lune … Oh Luigia, Luigia! Davvero questo è il mio destino?

Aspettar, ogni giorno, da questo balcone, mentre sorrido mesta al guardo di Giacomo, l’arrivo serotino di un peschereccio che affonda la prua nel verde polveroso di questa marina. Polveroso non è il pescator che scende, folti ricci usti dal sole, la pelle bronzea, novello figlio di Nettuno che sbarca balzando in su la riva, la rete colma di pescato stretta fra le ruvide mani.
Che mani, Luigia mia, che mani! Nemmeno tu lo sdegneresti, io credo.

Ma consumar devo i miei giorni, assisa in su questo verone, musa, mio malgrado, del bruttarello vate. E sogno giorni diversi, e cadute rovinose e poeti pugnanti e, se accontentar mi devo, pescatori esultanti vibranti di maschile ardore.
Or ti saluto che il vate mio risale, lento, in su le scale, per il saluto serotino: un casto bacio, tremante, legger calor di labbra su la mia fronte corrugata.
Davvero è questo il mio destino? E se fuggissi? Se il pescator con la sua rete mi raccogliesse? Che dici? Sparire: partire è un po’ morire. Ispirazion pe’ il vate, poesia immortal per colui, libertà per Teresa. Che questo è il mio nome, sai, mia cara. Troppo banale per l’immaginazion funerea del triste mio poeta.

E’ deciso. Silvia morrà. Prima che mani tremule incerte si posino su la mia pelle, che altro merita, io credo, in verità.
Silvia sen va, Teresa vive. Già feci cenno al bruno pescatore.
Addio, Luigia, d’ispirazion mi fu la tua caduta. Anch’io cadrò. In mani callose e ruvide; ruvide carezze mi risveglieranno.

Al tuo risanamento

Teresa (già Silvia)

Un commento su “Lettera di Silvia a Luigia”

  1. Grande Silvia /Teresa,che molla il poeta malinconico e triste ( poverello) e si butta tra le braccia del pescatore: d’altra parte mica poteva essere infelice e malinconica anche lei per sempre!!!!

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