Non importa grattare, il sudicio riaffiora lo stesso

FONTE Facebook 26-4-25 Giberto Gnisci ripropone un post di Leonardo Cecchi
TITOLO redazionale

Meloni impazzita. Ferocissima e stracolma di bile si scaglia contro Guccini. Non aspettava altro che l’occasione giusta.
Il motivo? Perché Guccini ha rivisitato Bella Ciao mettendocela dentro. Anzi, associando i fascisti ad alcuni suoi seguaci. E lei si è imbestialita. Imbestialita.
No no, non ci sta. Perché evidentemente la Meloni non vuole passare per fascista. Ma figurarsi. E come darle torto?
L’ha dimostrato bene ieri, quando alla Camera tutti i deputati si sono alzati ad applaudire per commemorare il 25 aprile. E i suoi sono rimasti seduti.
L’ha dimostrato bene oggi, non spendendo una parola (una) sul 25 aprile, che è festa nazionale, riuscendo in questo a farsi battere persino da Salvini.
Lo dimostra bene il suo braccio destro e sodale Ignazio La Russa, che prima ha proposto di abolire la stretta di mano per tornare al saluto fascista per poi proporre di “cambiare” il 25 aprile perché “divisivo”.
Lo dimostrano bene i suoi alleati internazionali come Orban, che chiudono i parlamenti e chiedono pieni poteri.
Lo dimostrano i suoi dirigenti locali, che ogni tre per due organizzano cene in onore di Mussolini o vanno in giro gridando di “avere il diritto di dirsi fascisti”.
Quindi la capiamo bene la Meloni.
E non capiamo come Guccini possa così assurdamente aver accostato il suo partito al fascismo.
Nella stessa maniera in cui non capiamo (davvero) come lei faccia a non perdere occasione per tacere per rispetto della sua stessa dignità.
Leonardo Cecchi

Il papa della complessità

FONTE Facebook Pierluigi Fagan 25-4-25
TITOLO REDAZIONALE

SI POTREBBE TUTTI QUANTI ANDARE AL TUO FUNERALE…

(Passata la tempesta dei primi commenti me ne permetto uno anche io) Pierluigi Fagan

Franceso I era a capo di una comunità di credenti di circa 1,4 mld di persone. Distribuita nei vari paesi del mondo, anche quando non fa maggioranza assoluta lo è spesso relativa o è minoranza qualificata. Socialmente, culturalmente e quindi politicamente, ripartita per stati e società questa comunità pesa più della sua stretta numerica. In più, Francesco I veniva dal Sud America, guardava spesso all’Asia (e la Cina, vecchio pallino gesuita) e curava la penetrazione della sua Chiesa in Africa. In ottimi rapporti con l’area ortodossa, meno con la protestante (non tanto con gli anglicani ma con le sette americane), meno ancora con l’area ebraica, equilibrato nelle relazioni con l’islam a differenza del suo predecessore.
Insomma, possiamo pesare la sua influenza diretta e indiretta, come leader culturale di opinione, come influente per l’immagine di mondo, almeno al doppio della sua stretta area di credenza, il che ne ha fatto -sotto questo punto di vista- l’individuo più importante in senso globale e di gran lunga.
La maggioranza votante Bergoglio al Conclave condivideva se non altro l’idea generale che l’istituzione che dovrebbe curare ma anche espandere la credenza, dovendo guardare al presente ma anche il futuro del mondo, non poteva che constatare la contrazione di peso degli occidentali e l’espansione enorme dell’Africa ed il peso altrettanto enorme dell’Asia. Assieme al Sud America, queste tre aree pesano oggi l’85% del mondo, l’88% nel 2050. Non credo che queste considerazioni scompaiano come riferimento per l’elezione del successore, al di là del fatto che poi la “missione” può essere espletata in molti modi e diversi equilibri tra la cura dell’esterno e quella dell’intero della Chiesa, una vocazione “internazionalista” rimarrà base per la scelta del successore.
La struttura dell’opinione tra Bergoglio e la grande area di chi, direttamente o indirettamente, ha risentito della sua influenza culturale, è quindi immensa e variegata. Da cui la pluralità di giudizi, sentimenti, interpretazioni. Il primo discrimine che si può fare è tra chi è interno a quella credenza o altra credenza spirituale e chi no.
Molti laici, non credenti, agnostici o atei (categorie di malferma definizione visto che spesso sono state date dai credenti), hanno apprezzato il profilo culturale di Bergoglio. Ricordo che Bergoglio era gesuita, il primo papa gesuita (ordine nato nel 1540, da sempre discusso dentro la Chiesa), l’ordine la cui missione principale è proprio il ruolo di corpo diplomatico culturale rivolto al mondo non espressamente cattolico. Ma anche qua, se ne possono dire di tutti colori a seconda dell’ideologia professata o del peso che si dà a certe cose, dall’entusiasmo per il suo terzomondismo anticapitalista e tendenzialmente egalitario ed ecologista ai mal di pancia di chi ne ha censurato altri aspetti.
Dal mio punto di vista, di studioso delle immagini di mondo che si occupa più spesso della struttura del “come” pensiamo che non del “cosa” pensiamo, Bergoglio era un alleato per la promozione della cultura della complessità, il che -in assoluto ma di questi tempi in particolare- era ed è una rarità.
Poco dopo eletto. Bergoglio emanò una enciclica dal titolo “Laudato sii” che recensii sul mio blog (link nel primo commento, chi vuole può dargli almeno uno sguardo, vale la pena, non l’articolo ma il contenuto e la forma dell’enciclica). La definii una “enciclica della complessità” con un certo entusiasmo intellettuale. Ma al di là del trasporto emotivo di chi sa di essere minoranza e trova rispecchiamento in un nuovo “amico nel pensiero”, per altro così “importante”, direi che ai contenuti di quella enciclica Bergoglio ha poi dato seguito coerente.
Senza tediare con lunghi elenchi di citazioni, estrapolo solo due pezzi esemplificativi.
Il primo è quel “Qualcuno può dirmi: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sono soltanto contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi”. La battaglia tra semplificanti con tendenze manichee (manicheismo preistoria del cristianesimo stesso) e complessisti, con i primi al grido di “c’è un invasore e un invaso” come se la storia del caso iniziasse il 24 febbraio 2022, senza cause, senza grovigli di cose ignote ai più che si accorgono dei problemi del mondo solo quando esplodono in schizzi di pus, è poi andata avanti e continua sino ad oggi. Ma trattandosi di battaglie sul come pensiamo, è normale portino via aspre dialettiche, anche odii intellettuali profondi e soprattutto molto tempo. Provare a cambiare le forme del mentale porta via molto tempo. È anche una battaglia tra ignoranti emozionati (nel senso che ignorano la struttura dell’argomento su cui esprimono giudizi, a quel punto “giocoforza” emotivi) e osservatori razionali, vecchia quanto l’umanità e più spesso, specie in tempi storici tormentati, persa dai secondi.
Il secondo è quel “C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di “senso della complessità”. Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità” espresso in una lettera al direttore del Corsera di fine marzo. Che seguiva un esplicito invito rivolto ai formatori di opinione “Vorrei incoraggiare lei e tutti coloro che dedicano lavoro e intelligenza a informare, attraverso strumenti di comunicazione che ormai uniscono il nostro mondo in tempo reale: sentite tutta l’importanza delle parole. Non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani”.
A cui ha fatto seguito il discorso alla Via Crucis sul mondo sempre più “a pezzi”, un sistema umano sempre più fratturato che avrebbe bisogno di nuovi tessitori, rammendatori, cucitori. Tra culture, civiltà, stati, nazioni, dentro le nazioni tra strati sociali. Non solo per astratto sentimento di pace, fratellanza e giustizia, prima ancora per realistica presa d’atto che l’unica via che abbiamo è adattarsi reciprocamente e tutti gli umani al pianeta che ci ospita. Forse questo papa è stato il primo, vero, “mondologo”, chi assume l’intero mondo come oggetto del pensiero.
Be’ non c’è da meravigliarsi che un gesuita si esprima, pur con immediata semplicità linguistica, a tale livello proprio delle immagini di mondo. E tuttavia non si può non rimarcare la rarità di tale approccio.
Quindi, no, domani altri andranno al suo funerale, io posso solo dire che la sua dipartita mi dispiace intellettualmente ed umanamente molto.

Pierluigi Fagan, 25-4-25

Grande è la confusione, sotto il cielo di Wall Street

FONTE Facebook Alessandro Volpi 23-4-25

Per provare a fare chiarezza rispetto ad un luogo comune troppo semplicistico. Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, ha sostenuto l’opportunità di attenuare le tensioni commerciali con la Cina. Mi sembra inevitabile che l’amministrazione Trump riveda le ipotesi di una “guerra dei dazi” con l’ex impero celeste. C’è un dato che più di ogni altro sconsiglia, infatti, Trump di perseguire tale strada. Il debito federale degli Stati Uniti è cresciuto dal 2020 al 2024 di 2300 miliardi di dollari ogni anno: una volume di titoli enorme che ha bisogno di compratori per non svalutarsi e per non pagare interessi stellari, il cui ammontare è già pari a circa 1000 miliardi di dollari e con il recentissimo rialzo dei rendimenti conoscerà un ulteriore aumento non distante dai 500 miliardi di dollari. Dunque, per non fallire gli Stati Uniti hanno bisogno della fiducia dei risparmiatori mondiali che viene veicolata dai grandi fondi e dalle grandi banche, di cui i fondi sono azionisti di riferimento. Tale fiducia non può reggere ad uno scontro frontale tra Stati Uniti e Cina perché la tenuta del dollaro, la moneta in cui è denominato il debito Usa, dipende dal suo utilizzo da parte della stessa Cina nei propri scambi mondiali. In questo senso, la perdita di valore del debito americano e la sua maggiore onerosità per il Tesoro degli Stati Uniti non dipendono certo dalla vendita di tale debito da parte della Cina, che ormai ha meno di 750 miliardi di dollari di debito Usa su un totale di quasi 37 mila miliardi, ma dalla forza che la Cina ha assunto negli scambi internazionali. La potenza economica cinese a livello globale è così rilevante che un suo eventuale conflitto commerciale con gli Stati Uniti spaventa a tal punto la grande finanza da indurla a vendere il debito americano per la paura di un suo crollo generato proprio da un simile scontro. Se poi si riducessero anche le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti per effetto dei dazi, la dollarizzazione sarebbe ulteriormente messa a repentaglio e il debito Usa accelererebbe il proprio declino. A ciò bisogna aggiungere che le più generali tensioni finanziarie indotte da una guerra dei dazi fra Cina e Usa stanno determinando il crollo di numerosi titoli considerati sicuri come quelli delle big tech e stanno obbligando i possessori di tali titoli a vendere titoli di Stato Usa per coprire le perdite. In estrema sintesi, la svalutazione del debito Usa non dipende dalla sua vendita da parte dei cinesi ma da una ben più generale dipendenza dell’intera economia degli Stati Uniti dalla Cina

Un Risiko geostrategico economico: Larry Fink dixit

FONTE Facebook Elena Tempestini 5-4-25

Un Risiko geostrategico economico nel quale il colosso BlackRock deciderà se il mondo deve vivere con o senza il dollaro. Questo il contenuto nella lettera del CEO di Black Rock, Larry Fink, agli investitori.
L’amministratore delegato del più grande gestore di risparmio al mondo, con quasi 12mila miliardi di dollari di attivi, in Italia gestisce oltre 100 miliardi di euro, detiene il 7% di Unicredit e il 5% di Intesa Sanpaolo, il 4% di Mediobanca, controlla quote in Mediaset, Stellantis, Moncler, è il principale azionista privato in Enel, Eni, poste, Snam e dall’autunno scorso ha aumentato la sua presenza in Leonardo. Fink prevede una possibile “dedollarizzazione” dell’economia globale legata alle attuali condizioni statunitensi, a partire dall’enorme debito federale. Ventilando anche l’ipotesi che una valuta digitale privata possa diventare il nuovo strumento di riserva, come ETF legati al Bitcoin. Perché lo ha fatto, quali effetti ha su Trump, Vance, Thiel, Musk, che non sono “ amati”? e che cosa c’entra il piano di riarmo europeo.
L’Europa diventa protagonista con la strada militarista voluta da Berlino, benedetta da Draghi e avviata da Bruxelles. Ma ReArm Europe e Readiness 2030 sono manna per i fondi americani, i quali vedono la possibilità di una nuova bolla finanziaria, migliore rispetto a quella tech: il Riarmo. Praticamente: soldi pubblici trasformati in armi, missili, carri armati = che diventano dividendi.
Quindi mentre l’Europa si indebita per armarsi, gli Stati Uniti potrebbero perdere il primato della valuta dando la possibilità ai colossi finanziari di fare incetta di dividendi. Un Risiko geostrategico economico che non lo decide chi siede alla Casa Bianca e nemmeno alla Bce. Ma chi ha scritto la lettera ai suoi investitori, muove la maggior parte dei miliardi mondiali e si può permettere di decidere se il dollaro possa ancora valere come carta su cui è stampato.
La Black Rock avrebbe dovuto siglare la compravendita delle attività portuali del Canale di Panama il 2 aprile insieme all’italiana MSC. Ma la Cina è riuscita a bloccare l’acquisizione: un’avanzata ostile, mascherata da iniziativa finanziaria? Chi detiene le attività portuali detiene non solo un grande potere economico, ma una leva strategica globale.

Economia & Finanza Verde
Elisabetta Failla
ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

USA vs Mondo

FONTE Andrea Montagni Reds n. 04 – 2025 03 April 2025
TITOLO REDAZIONALE

Gli USA erano e restano il principale pericolo per la pace e la sicurezza internazionale – di Andrea Montagni

Da Biden a Trump cambiano arrangiamento e direttore di orchestra, ma le note son le stesse. E in Europa non siamo messi meglio

Le apparenze (in Europa) non devono ingannare. L’orientamento della nuova leadership degli Stati uniti, che ha abbandonato l’approccio aggressivo dell’amministrazione Biden nei confronti della Russia e che ha smesso di incoraggiare e sostenere l’Ucraina nella guerra, non indica e non significa un cambiamento della natura imperialista degli Stati uniti d’America. L’orrendo massacro in corso a Gaza, le scorribande dell’esercito israeliano in Libano e in Cisgiordania che l’amministrazione Trump spalleggia apertamente sono a ricordarci che le mani dei governanti degli Stati uniti sono sempre sporche del sangue dei popoli. Da Washington i popoli del mondo non possono mai aspettarsi niente di buono!

Per dirla in breve – e con il rischio che l’analisi soffra di una eccessiva semplificazione – nel passaggio di consegne tra Biden e Trump, la classe capitalistica di oligarchi, finanzieri e padroni d’industria che domina negli Stati uniti passa dal tentativo, impersonato dalla politica dei democratici, di perpetrare il ruolo predominante degli Stati uniti su scala mondiale – basato su una ideologia da “nuova frontiera” kennedyana che assegna agli USA e ai suoi alleati il ruolo di portatori della democrazia e della libertà – a quello della destra nazionalista e protezionista, che prende atto del declino americano ma pensa di gestirlo gettando sul tavolo dei rapporti internazionali tutta la forza di quella che resta l’unica potenza mondiale con mire planetarie di controllo e predominio delle economie e dei mercati. Abbandonando qualsiasi maschera e presentandosi come moderni gangster che sbattono in faccia ai loro nemici, ma anche ai loro alleati, le armi del ricatto economico e militare.

Le minacce alla Groenlandia, al Canada, il sostegno aperto alle forze più reazionarie nei paesi europei vanno presi sul serio.

In politica interna, i lavoratori, le donne, gli anziani, i neri, i latini, gli omosessuali soffriranno le conseguenze dirette di una America il cui modello culturale sono i John Wayne dei film della frontiera in cui un mondo di predoni e ladri di terre spadroneggia con la violenza contro i nativi e messicani. Il “nuovo” mondo multipolare a cui pensano gli USA è un mondo di barbarie e di sopraffazione, anche in casa.

Trump era e resta l’uomo che può premere il bottone della guerra termonucleare.

Andrea Montagni

Follow the money

FONTE Facebook Alessandro Volpi 10-4-25
TITOLO REDAZIONALE

Trump ha sospeso i dazi, per 90 giorni, nei confronti di tutti i paesi, ad eccezione della Cina, alla quale li ha aumentati al 125%. Questa scelta suggerisce tre considerazioni. La prima, molto banale; Trump è destinato a creare un costante clima di incertezza nell’economia globale rendendo impossibile qualsiasi vera programmazione e dunque contribuendo a trasformare il capitalismo in un costante gioco d’azzardo. La seconda: il crollo dei listini mondiali, e in particolare di quelli americani, ha terrorizzato i milioni di cittadini e cittadine statunitensi che hanno nei fondi, imbottiti di titoli finanziari, tutta la loro assistenza sociale, sanitaria e pensionistica. In questo senso, le Big Three hanno vinto almeno in parte la partita con il nuovo presidente, sfruttando proprio la pervasività del modello finanziario che hanno costruito in seguito alla demolizione di ogni dimensione pubblica. Nelle Borse americane ci sono anche i risparmi degli europei che si sono affidati a Black Rock e soci per avere rendimenti significativi. Se tali rendimenti fossero spariti, quei risparmi sarebbero stati portati in Europa dalle stesse Big Three, smontando pezzi interi della finanza americana; e questo Trump non può permetterselo. La terza considerazione è la più impegnativa: Trump ha deciso di nascondere la sua clamorosa marcia indietro, concentrando tutta la guerra doganale sulla Cina che diventa l’impero del male; una strategia posticciamente ideologica che farà male agli Stati Uniti per gli effetti sull’inflazione, per la dollarizzazione, ma, soprattutto, perché posta in questi termini obbliga la Cina a reagire anche sul piano egemonico e induce un’inevitabile spaccatura fra l’ordine capitalistico e l’appartenenza al multipolarismo cinese, destinato ad avere molti seguaci in giro per il mondo.

Alessandro Volpi 10-4-25

Verso la terra di nessuno

FONTE Facebook Alessandro Volpi 3-4-25

I dazi di Trump stanno facendo scoppiare la bolla finanziaria che ha tenuto insieme negli ultimi anni l’economia americana, e il capitalismo finanziario. Non a caso i titoli maggiormente travolti sono stati quelli delle Big tech, da Apple ad Amazon e Invidia. Non si tratta di una caduta spinta solo dal fatto che una parte delle produzioni di tali società passano per zone colpite dai dazi, ma della più generale, e profonda, sfiducia che gli Stati Uniti, dominati dai monopoli finanziari, siano in grado di tenere in vita il capitalismo. Il paradosso è che la fine del dollaro è vaticinata da Larry Fink, il signore dei grandi fondi, impegnati ora nel non rimanere schiacciati dallo scoppio della bolla, cercando rifugio nell’Europa del riarmo e negli immaterialissimi Bitcoin, e determinata dal presidente Trump che vorrebbe reindustrializzare l’America per ridurre proprio l’eccessiva dipendenza dall’estero, e dalla sola finanza. Big Three e Trump stanno costruendo, in modo diametralmente diverso, la fine della centralità americana, aprendo una fase storica per molti versi ignota perché privata, assai probabilmente, della forma economica che ha dominato per qualche secolo l’Occidente. E’ davvero singolare, in questo tornante cruciale, che la risposta del governo italiano sia quella di minimizzare l’effetto dei dazi come se si riferissero solo al rapporto bilaterale della nostra economia con il mercato Usa senza capire quanto l’eventuale guerra commerciale globale modificherà gli assetti dell’intero scenario internazionale, non certo declinabile con la ricettina di buon senso e con il mantenimento di un asservimento americano non più auspicato neppure da Trump. Così come è singolare che la premier Meloni dopo avere accettato il nuovo Patto di Stabilità, dopo aver assecondato il piano Von der Leyen, scopra ora la necessità di rivedere proprio i parametri europei, cercando un capro espiatorio rispetto alla totale mancanza di coraggio nel riposizionamento del nostro paese verso equilibri multipolari. La crisi radicale del capitalismo imporrebbe politiche profondamente diverse che partano proprio dalla capacità di sfruttare la crisi del dollaro per costruire nuove strategie di indebitamento europeo, in chiave sociale, nuove forme di definanziarizzazione e, appunto, nuovi equilibri multipolari che, però, non possono certo appartenere al linguaggio di questa destra. E neppure al liberal progressismo di Gentiloni, Letta, Draghi e al coraggiosissimo gruppo di europarlamentari del Pd.

Alessandro Volpi 3-4-25

DAZI E TRUMPALLAZI

La guerra dei dazi di Donald Trump mette gli Usa nella posizione di “uno contro tutti”. Lo storia ci insegna che a chi ci ha provato non è andata troppo bene.
Da Facebook alcune sintetiche osservazioni

Alessandro Volpi 3-4-25

La giornata della liberazione rischia di essere l’inizio della fine del trumpismo. Pensare di fare una guerra doganale vera alla Cina è follia. Pensare di fare cassa per 6 mila miliardi di dollari con i dazi, pensando che il resto del mondo continui a vendere negli Stati Uniti e’ follia. Pensare che le Big tech investano montagne di miliardi in un paese così a rischio e’ follia. Pensare che i dazi producano la re industrializzazione USA e’ follia. Trump e’ davvero la maschera tragica di un capitalismo finito. E l’Europa è ancora più folle se pensa di rispondere con il riarmo.

Alessio Giuntini 3-4-25

Duro come le pine verdi.

Il cotonato ha una idea tutta sua su cosa sia un dazio, sulla differenza fra una imposta e un dazio.
I cartelli mostrati al pubblico sui dazi imposti alle importazioni negli USA sono affiancati a cifre immaginifiche di “ dazi” che il resto del mondo ( secondo lui ) applica alle merci americane.
Secondo Trump la UE fa pagare “ dazi” del 39% sulle merci americane e lui generosamente si accontenta del 20% sui prodotti che la UE importa negli USA.
Ma come è possibile che si sia così cattivi, noi europei, punendo in modo così feroce gli States ?
Il problema, nella migliore delle ipotesi, è che nessuno ha spiegato a questo duro di menta che l’IVA non è un dazio, ma una imposta sul consumo.
Questa imposta viene applicata su ogni prodotto INDIPENDENTEMENTE da dove viene prodotto.
Per essere più chiari : il consumatore finale paga la stessa IVA sia su una auto prodotta in America, sia prodotta in Europa.
Quindi, caro Donald, non c’è nessuna specifica limitazione alle merci americane che arrivano in Europa, l’ IVA non è un dazio ma una imposta.
Il paradosso è che questo signore grullo assai vorrebbe di fatto che gli europei non facessero pagare l’ IVA sui prodotti americani, inventando un particolare protezionismo, quello che farebbe diventare meno costoso un prodotto USA rispetto a un prodotto europeo.
Praticamente dovremmo sussidiare le merci americane a scapito di quelle europee…
Insomma, abbiamo a che fare con un furfante, nell’epoca buia nella quale non contano più i fatti ma solo le narrazioni immaginifiche e false.
Ps: sto leggendo i giornaloni italiani : ce ne fosse uno che aiuta i propri ( pochi) lettori a capire queste cose.

Alessio Giuntini 3-4-25

Boom !

Il cotonato colpisce.
Ma che gli avrà mai fatto la Cambogia agli americani, colpita da dazi del 49% !
Comunque ora sono dazzi nostri.
L’amor patrio ora ci impone di mangiare più parmigiano e bere più Franciacorta, dalle Alpi a Lampedusa.
Intanto il dollaro si deprezza sull’euro e calano i titoli del debito 🇺🇸 .
Da ora in avanti non un solo uovo depositato da una italica gallina varchi l’oceano, che facciano colazione con le uova di tacchino !
La situazione è grave ma non è seria.
Ora la UE, mio modesto parere, appena smesso di tremare, potrebbe anche rispondere in modo perfido ;si potrebbero mirare i controdazi in modo tutto politico : dazi solo negli Stati governati dai repubblicani e in quelli dove si svolgeranno le elezioni di medio termine .
Se tecnicamente possibile ci sarebbe da ridere.

CAPITALI CORAGGIOSI

FONTE Facebook Alessandro Volpi 2-4-25
TITOLO REDAZIONALE

I miliardari governano l’America e si arricchiscono grazie alle bolle finanziarie legate al loro stesso potere politico. Trump, in pochi mesi, ha più che raddoppiato il proprio patrimonio. Eppure, continua a raccogliere consensi tra le fasce più deboli. Forse perché l’alternativa non può essere un Partito Democratico troppo vicino ai grandi capitali.


Sono sempre più convinto che la forza di Trump sia dipesa dalla reale mancanza di alternative credibili; se ci fossero sarebbe davvero difficile rendere credibile la sua narrazione “popolare” tanto cara anche alla destra italiana. Forbes ha pubblicato la tradizionale classifica dei miliardari mondiale da cui emerge un primo dato chiaro: i super ricchi hanno vinto la lotta di classe, direi per abbandono. I miliardari sono infatti 3208 e hanno un patrimonio complessivo di 16 mila miliardi di dollari, con i primi cinque, guidati da Musk, che ne totalizzano oltre 1000. Naturalmente dei primi 25 miliardari 18 sono americani. Il dato politico interessante però è ancora un altro. Tra i miliardari figura il presidente Trump che dal marzo del 2024 ad oggi ha raddoppiato il proprio patrimonio personale passando da 2,3 a 5 miliardi di dollari, in larga misura per la corsa delle sue società e per le sue operazioni in criptovalute. E, sempre nel club dei miliardari, figurano oltre al già ricordato Musk anche due ministri dell’amministrazione Trump, Howard Lutnick e Linda Mac Mahon. In pratica, i miliardari governano l’America e diventano sempre più ricchi grazie alle bolle finanziarie create attorno ai titoli delle loro società, certamente trainate dal ruolo politico rivestito. E’ davvero difficile immaginare che questa classe dirigente possa essere votata dalle fasce con redditi bassi. Eppure è andata così. Forse, verrebbe da aggiungere, perché l’alternativa a Trump non possono essere i democratici “di Larry Fink” o quelli molto vicini alla costante celebrazione del capitalismo liberale. Non solo negli Stati Uniti.

Alessandro Volpi 2-4-25

I WANT YOU

FONTE Facebook Cinzia Zanfini Nuovo 2-4-25
IMMAGINE CREATA DA CHATGPT (vedi origine fine post)

Cinzia Zanfini Nuovo 2-4-25

Siccome è di gran moda far lavorare la gente a gratis e reclutare volontari in cambio di visibilità, è sempre valida la mia proposta pre Covid.
Chi non vuol fare il volontario può sempre fare il Volenteroso.
Io mi sono fatta fare una tee shirt con la scritta: “Svogliati”. La foto sotto è pre Covid. Negli ultimi anni mi sono molto deteriorata. Fine della mia analisi politica.

Cinzia Zanfini Nuovo 13-7-19

I want you! Cerco volontari per aiutarmi a pulire la libreria, le piastrelle del bagno e il lampadario del soggiorno. I volontari dovranno fare anche la raccolta differenziata, previo corso di formazione tenuto da me medesima, personalmente in persona. È una grande occasione, un grande privilegio, uno di quei treni che nella vita passano una volta sola.
Offro un panino, una bottiglietta d’acqua e un simpatico gadget consistente nella bomboniera della Prima Comunione del figlio di Alvise Micheletti (che era un vicino di casa di mia nonna).

Immagini usate e sottoposte alla elaborazione di ChatGPT

Una rielaborazione in chiave disegno humor di ChatGPT