le magnifiche sorti e progressive

FONTE Facebook Sandra Vegni 4-5-25
IMMAGINE e TITOLI REDAZIONALI

Ahi serva Europa di dolore ostello

Riflessione del 4 maggio da parte di un’anziana donna scoraggiata
L’uomo dal ciuffo biondo e dal culo di gallina al posto della bocca (così chi non se la sente d’inchinarsi per baciarlo di dietro, può farlo orgogliosamente di fronte, con lo stesso risultato) ha ottenuto quello cui mirava: lo sfruttamento delle terre rare in Ucraina; ora non gli resta che aspettare che la striscia di Gaza sia liberata da quei fastidiosi mosconi in veste di palestinesi che si ostinano ad occuparla e può allegramente disinteressarsi di quello che combineranno gli europei, sempre che – ovviamente – mantengano la promessa di 50 miliardi di importazioni in più dal suo paese che, com’è noto, finora è stato sfruttato ignobilmente dai comunitari. Non lo faranno Papa ma, a questo ci arriva anche da solo, se ne farà una ragione. Non faranno Papa neanche il suo cardinale di riferimento, quello che dovrebbe ‘fare il lavoro’, e questa non è una bella cosa ma… sarà per la prossima volta.
Finiranno infatti, gli europeidioti, a darsele fra di loro con armi americane e questo aprirà un bel mercato.
Perché gli europei, diciamo la verità, son millenni che se la danno con alterne vicende; senza arrivare all’impero romano e alle successive orde barbariche scese fino a Roma, gli spagnoli se le davano con la Francia, la Francia con l’Inghilterra, la Prussia stava in mezzo e andava un po’ qua e un po’ là. L’Italia non esisteva. ‘Franza e Spagna purché se magna’ dicevano gli italici, anche se più della metà stavano fra il Papato e l’impero austro ungarico, e forse non avevano torto. Poi si sono uniti e da lì è iniziata un’altra storia, non sempre gloriosa. Gli zar si allargavano fuori dal loro cortile (peraltro assai ampio ma poco appetibile di là dagli Urali, vuoi mettere al di qua!) verso i Balcani e la Scandinavia. La Russia deve essere considerata europea, che ci piaccia o meno: alla corte la lingua ufficiale era il francese e la costruzione di San Pietroburgo è stata affidata a un architetto italiano, poco noto in patria (che peraltro ancora non esisteva) ma molto stimato dall’aristocrazia russa.
Le influenze e le espansioni andavano e venivano, come le onde del mare; in Alsazia e Lorena non lo sapevano neanche gli abitanti se dovevano considerarsi francesi o tedeschi. Di fatto, se francesi e tedeschi sono arrivati fino alla periferia di Mosca, i Russi non sono mai arrivati a Parigi. A Berlino sì, ma ricacciando indietro gli invasori. Che poi Berlino l’hanno resa ai tedeschi, senza colpo ferire. Certo, Gorbacev ed Eltsin (molto amato dagli americani e incerto fino all’ultimo se il whiskey fosse meglio della vodka) non erano Putin. E su questo non c’è dubbio. Ma che, con oltre 20 milioni di morti, i russi abbiano contribuito a vincere la seconda guerra mondiale, non ci sono altrettanti dubbi. Sono stati anche i primi ad entrare ad Auschwitz e a constatare che era peggio dei loro gulag siberiani, anche se Benigni non è d’accordo. E che ora Zelensky, forte della recente ed effimera amicizia con il biondo in epigrafe, minacci chiunque osi festeggiare sulla piazza rossa, mi sembra un tantino esagerato. L’altro, il nemico degli europei, non l’ha presa bene. Francamente, non l’avrei presa bene neanche io, nei suoi panni. Il biondo se la ride e conta i soldi di una bella ricostruzione su ampia scala, mentre io rabbrividisco. Che 80 anni di pace siano un tantinello troppi? La Storia (quella del passato che si può guardare con una certa obiettività) ce lo dovrebbe insegnare. Invece no. Non preparerò lo zainetto con le medicine e le scatolette per 72 ore perché non m’interessa sopravvivere sulle macerie del ‘mio’ mondo.
Fine dell’analisi scolastica di una ex liceale molto datata.
Un bel pippone, ma avevo bisogno di farlo. Per me stessa e per i superstiti, se ce ne saranno. Perché questa diavoleria di internet ci sopravviverà, di sicuro.

I RICORDI DI NATALE

FONTE Facebook Sandra Vegni 29-12-24

Da ‘gli inesauribili racconti di Natale’ de IL Fornaio di Scandicci continua la serie:
Valter Dei, I RICORDI DI NATALE

Valter Dei, I RICORDI DI NATALE

Natale tempo di gioia ma anche di ricordi. Fino ai 17 anni ho vissuto in San Frediano in casa con i nonni materni. La nonna non aveva mai lavorato ma si era dedicata notte giorno ai figli prima e ai nipoti poi. Quelle anziane donne nate alla fine dell’800 con il senso della famiglia che veniva prima di ogni altra cosa. La cucina era anche la sala di ritrovo essendo le altre 3 stanze occupate da camere da letto dei nonni e dalle 3 figlie di cui 2 sposate con figli. Insomma una bella famigliola composta da 10 persone. Immaginiamo la tavola alla sera quando tutti rientravano per la cena. Io stavo in un angolo accanto al televisore allora in bianco e nero ed era già un lusso.
Il tavolo era in legno di quercia raddoppiabile con la ribalta ed era multiuso per pranzare, giocare a ping pong o giocare a tombola. Come era piena quella piccola grande cucina, credenza con vetrinetta color crema laccata, il tavolo con 8/10 sedie impagliate, la cappa con annesso fornello e bombola a gas accanto la cucina economica che faceva da forno e riscaldamento.
Quando arrivava Natale naturalmente la famiglia si ingrossava, il quarto figlio lo zio Vinicio con la moglie, il fidanzato della zia nubile che tutti insieme facevamo 13, meno male che non eravamo superstiziosi. Ma il ricordo più nitido che risale alla mia mente è come veniva imbandita la tavola. Gli immancabili crostini di fegatini e milza, i salumi e i formaggi, per primo le lasagne al forno che faceva sempre la nonna con il sugo di carne, la besciamella e tanto parmigiano grattato sopra. Gli arrosti con la carne che portava il babbo macellaro e le immancabili patatine arrosto alla “ghiotta” con tanto olio e ramerino.I dolci e la frutta secca a fine pranzo si sprecavano. Vero che di giorno normale i dessert era una cosa rara, ma per le feste si recuperava di brutto, c’era il panettone, non il pandoro ancora nella testa del Sig. Bauli, ma anche i ricciarelli alla mandorla, i cavallucci dal sapore di anice e come frutta mandarini, fichi secchi con le noci, mandorle e nocciole; infine lo spumante moscato, perché il Brut non ci piaceva e forse manco c’era.
Quegli odori, forse perché particolari e conosciuti nell’infanzia ti rimangono nella testa e ti fanno riaffiorare alla mente la felicità e la pace di quei giorni. Le vacanze scolastiche, gli affetti, il mangiare delle feste e i pochi giocattoli desiderati sono oggi una ricchezza che mi manca e che mi fa invidiare i sapori di quelle feste.

Il dolce di Natale by Sandra Vegni

Un altro giorno, un altro raccontino
Carla Cristini, Il dolce di Natale
FONTE Facebook 22-12-24

A casa mia il Natale era la festa a cui tutta la famiglia dedicava una lenta ed accurata preparazione. A noi figlie il ruolo di assistenti in tutte le attività. A mio padre era riservato l’allestimento del presepe e dell’albero: predisponeva su un tavolo un’arcata per sorreggere il cielo stellato, disegnato sulla carta azzurra con le stelle dorate, e modellava con il cartone colline e pianure, compresa la vallata del fiume. Poi, a tempo perso, ricavava casette e torri da rotoli di carta igienica e cartoncino di vecchie cartellette dell’ufficio. Per l’albero le lucine, a formare la catena, venivano collegate con il nastro per elettricisti tutti gli anni, previa conferma del loro funzionamento. Pronte alla Vigilia di Natale, le palline dovevano correre nelle nostre mani per finire sui rami dell’abete, comprato ogni anno con la zolla avvolta nella iuta. Spesso le palline correvano così veloci che si sbriciolavano a terra in un batter d’occhio. Comunque, albero e presepe erano pronti, nel loro splendore, il ventiquattro sera.
A mia madre, era riservato, oltre alla sartoria dei nostri vestiti, il settore culinario che comprendeva un menù consolidato nel tempo, con poche variazioni ammesse anche sui dolci. Anzi sul dolce. Sì, perché mia madre un dolce sapeva fare e quello era: il ciambellone! Con le quattro uova del contadino, si separavano gli albumi, che mia madre montava a neve con due forchette in pochissimi secondi, impresa a me mai riuscita, mentre i tuorli si mescolavano con lo zucchero prima di aggiungere la farina. Arancia e limone venivano grattugiati dal babbo, come se la grattugia fosse un arnese troppo pericoloso ed impegnativo per il genere femminile; la qual cosa valeva anche per il parmigiano. Lievito e burro, sciolto nel latte e raffreddato, completavano la preparazione con l’aggiunta delicata della neve di albumi.
Dato che non avevamo una tortiera con il buco centrale, anzi non avevamo una tortiera di qualsiasi tipo, mia madre usava un tegame in allumino ben unto di burro e nel mezzo una tazza senza manico.
Questo era il dolce che doveva competere con panettone e pandoro, così insipidi per i nostri gusti.
– Mah – diceva mia madre – saranno anche buoni, ma questi canditi…
– Questo pandoro è tutto burro e non ha consistenza…
L’unico dolce ben accetto era il panforte e, tra i biscotti, i mitici ricciarelli. Solo loro potevano essere all’altezza del suo ciambellone!
Con il passare degli anni e la sempre crescente diffusione di diverse varietà di dolciumi, anche mia madre cercò di provare a variare.
– Oggi sperimento un nuovo dolce!
Fui felice di questo annuncio; soltanto per avere una novità, ero disposta a gustare qualsiasi sapore nuovo. Quando lo vidi sfornato, rigirato dal tegame sul vassoio, mi sembrò gradevole per la vista e l’olfatto: quattro grandi fette di ananas caramellate esalavano un profumo esotico. Non c’era più il buco nel mezzo e al centro di ogni fetta un mucchietto di pinoli, di cui andavo matta.
Aspettai la fine del pranzo, che a Natale aveva tempi lunghissimi. Forse per gli antipasti: rigorosamente di fegatini e burro e acciughe. Forse per i due primi: tortellini in brodo e tagliatelle con ragù. Forse per i secondi: arrosto di pollo e coniglio e roastbeef, che a casa mia si chiamava “il magro”. Patate arrosto a volontà. Finalmente il dolce: mia madre lo affetta e fa un bell’effetto nel piattino; il primo morso e…mi accorgo che il dolce nuovo altro non è che il ciambellone travestito con l’ananas!

Sandra Vegni 22-12-24

I Superbomboloni

Sandra Vegni su Facebook

Quando ero piccola andare in via del Corso per vedere i bomboloni che cadevano dal cielo e rimbalzavano da destra a sinistra fino a rotolare nello zucchero era una meta obbligata.
Quando i’ babbo era libero dal lavoro, quasi sempre di giorno feriale perché guidava i’ tranvai e i riposi arrivavano a scendere, una settimana di giovedì la successiva di mercoledì e via scalando, s’andava quasi sempre in centro, al cinema o al museo (sì, museo, avete capito bene) oppure a passeggiare fra chiese e palazzi che stillavano bellezza e storia. Ma non poteva mancare una sosta golosa: in via Monalda d’inverno per la panna coi cialdoni se c’era anche l’Amalia oppure in via di’ Corso a veder saltellare i bomboloni, se eravamo da soli. All’Amalia i bomboloni non piacevano e trovava un po’ eccessivo – e arrogante – quello spettacolo dolce-fritto-zuccheroso.
Ho letto che il bar chiude oppure è già chiuso, non so.
Non ci son più occhi di bambini che si stupiscono davanti a un bombolone che vola fino ad atterrare nello zucchero.
Traboccano di merendine industriali gli scaffali dei supermercati, i bambini seguono le sonde spaziali e un bombolone che cade dal cielo che vuoi che sia.
E noi, i bambini di allora ormai vegliardi con i capelli bianchi e il colesterolo e la glicemia da controllare, da quanti anni non siamo andati in via del Corso, fermi sulla strada, gli occhi fissi alle alette che facevano rimbalzare i bomboloni.
Da quanto tempo i denti non affondano più nella salda elasticità della pasta, la crema non strabuzza dalle fessure, i baffi di zucchero semolato non disegnano le nostre labbra?
Il bar Cucciolo ha chiuso. I bomboloni non saltano più. I bambini non si stupiscono di queste sciocchezze, i babbi giocano al calcetto e i bambini li portano al cinema nelle multisale con la bigoncia di pop corn. I musei? Che ci pensi la scuola, se ci vuol pensare. Guardare avanti e non indietro.
Fine, the end. La mia infanzia se n’è andata da un pezzo, io non ho mai portato mia figlia a guardare i bomboloni cadere; solo la notizia che non cadranno più mi ha suscitato una botta di nostalgia. Per quella mano ruvida e calda che stringeva la mia, per gli occhi chiari del babbo che osservava insieme a me, come un fanciullo, cadere i bomboloni dal cielo.

Racconto di Natale

Da Facebook un bel contributo di Sandra Vegni

La foto trovata su una pagina di facebook mi ha suggerito un racconto

Sandra Vegni

L’ALBERO DI NATALE

La bambina non si decideva ad andare a letto, pareva che l’eccitazione degli adulti le si fosse trasmessa nonostante fingessero normalità. Gli zii e la cugina giocavano a carte sul tavolo di marmo di cucina, osservati dal nonno che stringeva fra i denti la pipa spenta; il babbo leggeva il giornale sulla bergère del salotto.

Alla fine l’Amalia pose fine agli indugi: la portò in camera, le infilò il pigiama e si sedette accanto al lettino smaltato di rosa, una mano chiusa a pugno fra quelle della piccola che iniziò, come ogni sera, ad accarezzarle le nocche disegnando cerchi con le piccole dita. Una sorta di tortura cinese per la mamma che intonò a bassa voce la ninnananna fiorentina, l’unica che conosceva: “nannao nannao… questa bambina a chi la do…”

Subito carte e giornale sparirono dalla scena; facendo cenno l’uno all’altro di restare in silenzio, tutti si davano da fare. Il babbo e lo zio trascinarono su per le scale il grande abete che sfiorava il soffitto, la zia corse ad aprire la scatola dove riposavano, incartati ad uno ad uno con il giornale dell’anno prima, gli addobbi colorati. Palle di vetro semplici, le più belle interrotte da una girandola, fragili, difficili da maneggiare. Un tocco distratto, un rapido scivolìo e mille pezzi colorati si dividevano in minuscoli frammenti sulle mattonelle esagonali del pavimento.

Il nonno, dalla bergère spostata in un angolo per far posto all’albero, in silenzio osservava i lavori.

Dopo che, finalmente, la bambina si fu addormentata, arrivò la mamma a dar mano. C’erano ancora da agganciare i mandarini profumati e i sacchetti di noci e fichi secchi dell’orto e infine i cioccolatini a forma di Babbo Natale avvolti nella carta stagnola. Già s’immaginavano la gioia della bambina mentre li sgranocchiava.

L’ultimo tocco lo diede il babbo, sotto l’occhio vigile dello zio: era un compito delicato agganciare le candele alle fronde dell’albero, bisognava calcolare che l’altezza delle fiammelle non sfiorasse i rametti sovrastanti. Non sarebbe stato un gran giorno di Natale quello in cui la casa fosse andata a fuoco.

Gli anni precedenti la bambina era troppo piccola per apprezzare l’albero di Natale, quello per lei sarebbe stato il primo; così al mattino erano tutti lì ad aspettare le sue grida di sorpresa, pregustavano i salti, gli occhi scintillanti di gioia, gli abbracci che avrebbe regalato a tutti.

Arrivò per mano alla mamma, i capelli arruffati, il golfino infilato sopra il pigiama rosa e le pantofole scozzesi ai piedi. Era una bambina silenziosa, un po’ imbronciata, sempre a rincorrere le sue fantasie.

Lasciò la mano della mamma, guardò l’albero scintillante di vetri e di stagnole, le fiammelle tremolanti che puntavano il soffitto. Lo guardò con occhi critici, la fronte corrugata, le labbra strette. Poi si rilassò e sorrise.

«L’ho fatto io!» disse, soddisfatta.

La bambina ero io, avevo tre o quattro anni, la storia è vera. Ogni volta che me la raccontavano i ‘grandi’ ridevano come matti.

Rutto Nazionale

Come disse il grande comico mignon Paolo Rossi:
“Bisogna ammettere
Che il Cavaliere ha i numeri …
Ha trovato il vuoto
L’ha riempito col nulla
E ha fatto il pieno”

Per questo post ringraziamo Il Fatto Quotidiano per i pezzi gentilmente concessi

Alla cerimonia funebre innumerevoli sono le manifestazioni di affetto e di sincero cordoglio. La parte migliore del corpo elettorale é con te.

La leggenda del santo corruttore

Il Fatto Quotidiano14 Jun 2023 Marco Travaglio

Agli innumerevoli delitti commessi da vivo, B. ne ha aggiunto un ultimo da morto. Il più imperdonabile: averci lasciato questa corte di vedove (non le due vere e quella finta: tutte le altre), prefiche, leccaculi, paraculi, piduisti, terzisti, parassiti, prosseneti, camerieri, servi sciocchi e soprattutto furbi che da due giorni lacrimano per finta (solo lui riusciva a piangere davvero a comando) a reti unificate, devastando quel po’ di informazione e di dignità nazionale che gli erano sopravvissute.
Il giorno di lutto nazionale e i sette di lutto parlamentare, più che a B., sono un omaggio a Fantozzi e ai funerali della madre del megadirettore naturale conte Lamberti, immaturamente scomparsa all’età di 126 anni. Ora mancano solo la Coppa Cobram di ciclismo da Arcore a Pinerolo e la statua del de cuius all’ingresso del fu Parlamento, con inchino forzato e craniata incorporata per i cari inferiori.
Le cascate di saliva che tracimano da ogni canale tv e da ogni giornale regalano perle inimmaginabili persino nei suoi anni d’oro. L’ex conduttore Mediaset intervista su La7 il suo editore ex Mediaset su quanto era buono e democratico l’editore precedente che stipendiava entrambi prima che lo mollassero perché era troppo buono e democratico. L’ex direttore del Corriere Paolo Mieli si pente in diretta dell’unico scoop della sua vita, sull’invito a comparire del ’94 a B. per le mazzette alla Guardia di Finanza, accusa i pm di non averlo torchiato a dovere per estorcergli le sue fonti che lui avrebbe senz’altro spiattellato in barba alla deontologia professionale, e comunque si scusa pubblicamente per aver pubblicato una notizia vera. Renzi, un Berlusconi che non ce l’ha fatta, saltella da una rete all’altra per leccare la bara a distanza, sperando di ereditare qualche briciola dal desco del caro estinto, peraltro invano (a parte i processi). Il rag. Cerasa, un Sallusti che non ce l’ha fatta, dipinge sul Foglio col pennino intinto nella bava il leader più estremista e populista mai visto in Europa come “argine all’estremismo e al populismo” e, siccome era culo e camicia con Putin, pure come “seduttore atlantista”. Attori, registi e soubrette “de sinistra” spendono capitali in necrologi piangenti per l’amico Silvio, sperando che pure gli eredi si ricordino degli amici. Francesco Gaetano Caltagirone svela finalmente chi fa i titoli e gli editoriali del suo Messaggero, firmandone finalmente uno al posto dei soliti nom de plume: “Un uomo che ha lasciato un’orma profonda”. Più che altro, un’impronta digitale. E un vuoto incolmabile nelle casse dell’erario.

Un grande statista che ha saputo interpretare i valori più genuini del popolo ed incanalarli nell’alveo di una grande visione politica e morale.

Sandra Vegni da Facebook suggerisci “Da un amico ‘poeta’”

Lutto nazionale

Sì, è morto il caimano,
un artista dell’imbroglio.
C’è chi brinda, fiasco in mano,
chi rispetta per cordoglio.

Io che sono un elefante
no, non perdo la memoria:
sarò forse inelegante,
ma non scordo la sua storia.

Che per me fu troppo lunga:
troppo spesso fu al governo,
fra festini e bunga bunga,
per l’Italia fu un inferno.

Trenta volte fu a processo:
per il fisco, per tangenti,
corruzione, mafia, sesso …
Ma con mille accorgimenti,

avvocati e prescrizioni,
lui rimase sempre in sella,
non conobbe le prigioni.
La morale? Sempre quella:

con tivù ed i giornali,
leccaculo ed i milioni,
andò in culo ai tribunali
rimanendo fra i coglioni.

C’è chi dice: “che grand’uomo,
gli dobbiamo devozione,
funerali in piazza Duomo!”:
mezza Italia in commozione.

Ma non basta cattedrale,
fra le scelte scellerate:
anche il lutto nazionale!
Son finite pagliacciate?

L’altra faccia della luna,
sono tanti, per fortuna,
alzerà un bel boccale
per un … rutto universale!

piove governo ladro

Sandra Vegni da Facebook
con una foto anche questa presa da Facebook

Tutti i partiti e gli schieramenti politici (nessuno escluso) che si sono avvicendati negli ultimi 30 anni hanno avuto ben fermo un obiettivo: apparire più che essere.
Perché investire risorse in difesa del territorio o nel ricondizionamento degli edifici scolastici? Chi si accorgerà mai che un argine NON è crollato, un territorio NON si è allagato, una scuola NON è crollata? Quanto può rendere il NON accaduto in termini di voti e di risultati elettorali? NON si vede, quindi niente.
Vuoi mettere il ponte sullo stretto, anche se non si fa per colpa delle opposizioni (fluttuanti ma un’opposizione si trova sempre), la cementificazione delle montagne per favorire un Olimpiade, costose e inutili costruzioni per eventi di risonanza mondiale?
Roba che si vede, testimonia il ‘fare’ del governo di turno, produce voti.
Questo conta. Inondazioni, crolli, terremoti? Ci si pensa sul momento, ministri che corrono, presidenti che benedicono, l’importante è farsi vedere.
Se non sei visibile non esisti e non produci rendite politiche. Amen.
Come la chiusura delle preghiere sui morti, le lacrime di coccodrillo, le medaglie sul petto dei superstiti.
Che schifo. Che immenso, profondo, vomitevole schifo.
Poi si mandano le frecce tricolori e tutti battono le mani. E gli amministratori politici tutti tronfi in prima fila a colori alterni.
Apparire. All’essere ci penserà qualcun altro.
L’importante è capitalizzare.

Sandra Vegni 18 maggio 2023

grande Poldo

da Facebook una simpatica testimonianza di Sandra Vegni

“Ma questo è Poldo!”
La voce mi coglie sul cancello di casa, io ancora all’interno, Poldo mi precede sul marciapiede.
Una signora sorridente, capelli bianchi e corti, in mano le borse della spesa. Non sono una brava fisionomista ma questa signora, sono sicura, non la conosco davvero.
Non tento giri di parole e “Ci conosciamo?” Chiedo direttamente.
La signora gentile mi segue su Facebook, le piacciono i miei racconti e – non dice proprio così ma si capisce – il mio cazzeggio.
Mi ha fatto piacere. Conoscerla di persona, intendo. Non accetto contatti sconosciuti a meno che non siano amici di persone che conosco davvero, questo è il mio modo di procedere. Difficilmente ho avuto brutte sorprese. Ma incontrarla, essere riconosciuta, sia pure per merito di Poldo, mi ha fatto davvero piacere. Ci si ritrova a chiacchierare come vecchie amiche. E la signora è carina, simpatica, sperta. Significa che il mio sistema funziona.
Insomma, è stato un bel modo di iniziare la giornata e anche di riconciliarmi con questo mezzo che certi giorni mi fa paura perché ci passo troppo tempo.
Ora aspetto che qualcun altro riconosca Poldo, il mio biglietto da visita.
Intanto, grazie