Buongiorno.
La “bella legge” di bilancio di Donald Trump produrrà un massacro sociale e renderà i ricchi ancora più ricchi.
Decine di milioni di persone perderanno la già scarsa protezione sanitaria e si aggiungeranno a coloro che sono privi di qualsiasi tipo di copertura in caso di malattia.
Le grandi organizzazioni mondiali che operano per la salute globale perderanno parte cospicua dei contributi al punto che dovranno ridimensionare i loro programmi di vaccinazione mettendo a rischio la vita di milioni di bambini.
Già il 2025, a causa dei tagli effettuati, si prevede che sia l’anno, per la prima volta dal 2000, in cui aumenterà il numero dei bambini che muoiono nel mondo per malattie.
La cupidigia dei gigacapitalisti che stanno dietro la vittoria di Trump non ha limiti e non arretra neppure di fronte alla morte e alla sofferenza di innocenti.
Eppure dagli anni ’30 ai primi anni ’70 gli USA hanno vissuto un’età dell’oro dell’eguaglianza: crescita economica sostenuta, forte mobilità sociale, bassa disuguaglianza. Era il periodo che va da Roosevelt fino a Kennedy e a Johnson, quando le aliquote arrivavano addirittura oltre il 90 per cento, e il capitalismo doveva dimostrare di saper rispondere alla questione sociale meglio di quanto non sapessero fare i paesi socialisti.
Poi è iniziata la svolta, con Reagan che ridusse le tasse per i ricchi al 28%, in un crescendo di sgravi e di possibilità di elusione che ha portato uno dei più grandi imprenditori e finanzieri americani, Warren Buffet, ad affermare che: “Debbie (la mia segretaria) lavora tanto quanto me e paga il doppio della mia aliquota fiscale.”
È successo così che le spese dello Stato siano arrivate ad essere il doppio delle entrate determinando un debito che alla lunga è diventato insostenibile.
Le guerre di questi ultimi decenni (Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, e interventi minori), basate sull’idea di esportare la democrazia e dagli esiti disastrosi, hanno dato un contributo determinante all’aumento del debito.
Al punto che oggi le spese militari sono altissime: un 13% del budget federale solo per la difesa che arriva fino al 25 per cento se si considera la spesa militare totale, contando veterani, intelligence, nucleare, Homeland Security (Sicurezza Interna) e interessi sul debito bellico.
L’America è una grande potenza indebitata fino al collo, fortissima sotto il profilo militare mentre per l’economia il suo primato è insidiato dalla Cina che è già la prima potenza industriale al mondo.
Tutto questo spiega la politica di Trump che si presenta come una pericolosa prosecuzione, accelerazione ed accentuazione delle politiche americane degli ultimi decenni: ancora meno tasse ai ricchi, ancora tagli allo Stato sociale, aumento delle spese militari, imposizione di dazi, vendita di armi agli alleati e minaccia e uso della forza armata (vedi bombardamenti all’Iran) come strumento normale di intervento.
In politica interna si attuano forti restrizioni sui diritti civili, si fanno le deportazioni dei migranti, si interviene nelle università contro la libertà di ricerca, si intimidisce la stampa indipendente.
In America sembra essere saltata ogni distinzione tra potere privato derivante dalla ricchezza e affari pubblici.
Chi studierà la storia ancora una volta dirà che l’Italia è stata anticipatrice con Berlusconi, e la sua “scesa in campo”, della eliminazione del “conflitto di interessi”.
Se hai i soldi puoi fare tutto: comprare la politica finanziandola, acquisire il consenso con il possesso dei mezzi di comunicazione fino a diventare tu stesso un capo di Stato come ha fatto Trump.
Ora si legge che anche Elon Musk, forse l’uomo più ricco del mondo, ha deciso di fondare il suo partito, che chiama America Party dichiarando spudoratamente di voler restituire la libertà agli americani ma in realtà pensando solo ai suoi interessi e inseguendo i suoi deliri di onnipotenza degni più di un autocrate che di un cittadino democratico.
Ma a questo punto si pone una domanda cruciale.
Si può ancora ritenere gli USA una grande democrazia oppure è più corretto considerarla una democratura, cioè una finta democrazia in cui si svolgono le elezioni ma in cui il potere assume sempre più tratti illiberali e si concentra nelle mani dei più ricchi, come mostra anche la deriva di molti governi europei, tra cui l’Italia di Meloni.
Carlo Marx parlava nel 1848 del governo come “comitato di affari della borghesia” in cui le classi capitaliste organizzano e proteggono i propri interessi di classe mettendo a rischio il benessere e anche la pace nel mondo.
Il mondo è cambiato, ma dopo una fase di libertà e di democrazia sociale che ha caratterizzato il novecento nel dopoguerra del mondo occidentale, oggi per tanti aspetti c’è stata una spaventosa involuzione, un balzo all’indietro.
L’Europa, pur con le sue caratteristiche, non è stata e non è certo immune da questa ondata reazionaria.
Per la sinistra, spesso subordinata al neoliberismo, è tempo di rigenerarsi tornando ai principi e ai valori della sua origine.
Enrico Rossi