La Casa del Popolo

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

Uno degli effetti più importanti del mio trasferimento fu che cominciai, fin dai primi giorni, a frequentare assiduamente la casa del popolo Fratelli Taddei a San Quirico di Legnaia distante poco meno di mezzo chilometro da casa, un ambiente ricreativo che mi facilitò l’inserimento nella nuova realtà. Per me un ambiente così fu una novità assoluta ed un’acquisizione importante perché lì cominciai a manifestare gradatamente, interesse per le vicende politiche e cominciai a fare amicizia con diverse persone. Un Sabato pomeriggio vi andai, per la prima volta, a prendervi un caffè quando mi sentii chiamare: era Andrea un ex collega di quando avevo lavorato in fabbrica come apprendista litografo e che al momento vi lavorava ancora. Ci salutammo cordialmente e mi ricordò, presentandomi ai suoi cognati, i disastri che avevo combinato alla rotativa ed a seguire mi ragguagliò su tutti i pettegolezzi di ex colleghi, riportando qualche episodio a luci rosse, fidanzamenti ed altre amenità accadute nella sua fabbrica. Mi invitò a visitare i locali facendosi accompagnare da uno dei soci fondatori che, mentre camminavamo, ci narrò anche delle vicende che riguardavano la storia di quell’edificio che fu a suo tempo requisito dai fascisti e restituito nell’immediato dopoguerra alla sua funzione originaria.

Era un uomo molto anziano basso e dal volto rotondo con pochi capelli tutti bianchi, leggermente claudicante. In gioventù dopo una fase di militanza anarchica aveva partecipato alla fondazione del partito comunista a Livorno nel 1921. Quando passammo davanti al bancone per andare nella sala molto grande con i biliardi, mi presentò il barista, a cui strinsi la mano, informandomi che era il presidente del circolo ed aggiungendo, prima di andare nella stanza dei biliardi, che “il servizio qui lo fanno i soci e gratuitamente”. Una volta dentro la stanza accese delle luci e mettendo a posto nella rastrelliera due stecche che erano appoggiate sul panno verde, ci tenne a dire che “qui hanno fatto anche gare di un certo livello” Oltre una piccola vetrata notai uno spazio con un juke-box e feci una capatina prima di dirigermi, insieme a lui, verso un’ampia sala per il gioco delle carte.

Dopo avervi dato un’occhiata dentro ci fermammo nell’ingresso e l’uomo mi indicò il primo piano dicendo “alla fine delle scale c’è la sala del cinema nella quale tutti i giorni nel dopocena, tranne il Lunedì si proiettano i film e durante l’estate invece viene utilizzato il nostro giardino adiacente. Il cinema è anche il luogo dove a volte si svolgono i dibattiti politici ed altre iniziative su molte questioni. Ci sono tanti giovani come te che vi partecipano”.

Rimanendo a piano terra fece presente che nel sottosuolo “ci sono altri locali per la sezione del partito comunista, quella del partito socialista, un circolo della Fgci ed altri ambienti dove si svolgevano attività culturali ed una biblioteca con tanto di prestito per i soci”. Si sentiva nella sua esposizione un senso di orgoglio per quel complesso che mi parve enorme. Il mio amico, presentandomi ad altre due persone, mi invitò a fare una partita a tressette con loro. Nel tornare a casa, riflettendo su quanto avevo visto, rimasi veramente impressionato da tutta questa attività e partecipazione sociale e nei giorni seguenti andando alla casa del popolo mi resi conto della massa di persone che la frequentavano. Venivo da una realtà prevalentemente residenziale che aveva anch’essa punti di aggregazione politica che facevano riferimento al partito socialista ed al partito comunista, ma le dimensioni al confronto di questa casa del popolo erano ridotte e sicuramente come rapporto e legame con il territorio non erano nemmeno lontanamente paragonabili. Dopo alcuni mesi, una Domenica mattina mentre stavo parlando con degli amici, vidi un giovane di media altezza, magro, dalla capigliatura scura parcheggiare una Guzzi proprio accanto al mio scooterino ed incuriosito lo seguii con apprensione, immaginandomi una caduta della sua moto sopra la mia.

Quando passò accanto a noi salutò subito ricambiato. Appena entrò dentro la casa del popolo, Ivan, un ragazzo con cui parlavo spesso, mi disse “è il segretario della sezione della Fgci” e nel prosieguo del discorso venni a sapere che era stato “il promotore del cineforum Ejzenŝtein e del circolo culturale Nazim Hikmet. Si chiama Gianluigi ma lo chiamiamo tutti Mao. Ora se ripassa te lo presento”. Caso volle che egli uscisse dopo un paio di minuti e quindi ci presentammo dopo che era stato fermato da Ivan. Questo spunto occasionale fornì il pretesto per essere ragguagliato sulle attività culturali della casa del popolo. Gian Luigi citò una serie di nomi che assolutamente non conoscevo ed illustrò il tipo di attività che vi si svolgevano. Alla fine del suo discorso volle precisare come “queste attività fossero tutte autofinanziate” ed anche come “questo circolo è inserito in una realtà dove l’utenza è largamente operaia e proletaria che stimola e ci sprona”. Qui finì questo primo approccio e lo ringraziai per la sua spiegazione. Prima di rimontare in moto tornò indietro e mi fece presente che esisteva una biblioteca per i soci, che potevano prendere in prestito qualche libro.

Su questo possibilità gli amici mi segnalarono che lo avevano già utilizzato suscitando la mia curiosità. Nel continuare a frequentare la casa del popolo constatai come fosse massiccia la partecipazione giovanile, in maggioranza lavoratori. Notai un’alacre attività politica mai vista rispetto al precedente luogo in cui avevo fatto riferimento nel mio tempo libero, praticato da un’utenza che aveva motivazioni diverse e dove gli argomenti prevalenti non avevano una connotazione politica. Ovviamente essa affiorava nei discorsi, che era però cosa ben diversa dal praticarla, ed alla lunga nelle discussioni appariva un orpello fastidioso; questa diversità non fu una cosa da poco. Il fatto che vi fosse nel circolo il giornale a disposizione degli avventori, rispetto al bar dove ero andato sempre prima del trasloco, può sembrare una banalità ma non lo era perché la fruibilità pubblica faceva la differenza anche se per consuetudine in casa mia il giornale non era mai mancato.

Un Sabato pomeriggio vidi alcuni giovani e delle ragazze che stavano danzando davanti al juke-box e mi aggregai a loro trovandomi invischiato in una sorta di contesa “territoriale”. Uno a ballare davanti al juke-box precludeva di fatto l’accesso ad altri mentre qualcuno di noi con le monete in mano era pronto ad inserirli appena la testina del grammofono si staccava dal disco. Tutto per dare seguito al “possesso” del juke-box. Se qualche persona presente aveva pazienza ed era disposta ad attendere la pausa inevitabile bene, altrimenti, come successe una Domenica pomeriggio, uno sbottò ricoprendoci di improperi perché “eravamo degli invasati”. C’era nella fruizione del juke-box un elemento importante perché avere il giradischi rimandava ad una dimensione privata nell’ascoltare la musica e per chi non lo aveva per scelta, come il sottoscritto, c’era la possibilità di socializzare con altri coetanei con appuntamenti “davanti allo scatolone che canta” come borbottò un anziano infastidito dall’eccessivo volume. “Ognuna per sé, juke-box per tutti”; questo valeva anche per le adolescenti quando ballavano tra loro. Quello strumento, che oggi fa sorridere, all’epoca fece sognare tante persone e fu occasione di incontro tra giovani che si cimentavano in piroette e figure ballando distaccati dove ognuno poteva inserirsi senza timore ed anche dove, come successe a me, si combinavano gli incontri con qualche ragazza; una che sarebbe diventata la mia fidanzata, la conobbi con questo approccio.

Alcune ragazze, molto giovani, non frequentavano le sale da ballo mentre lì, in una parte di un locale, era possibile incontrarsi quando stanchi ed esausti ci davamo appuntamento per vederci ancora. Qualche volta veniva anche qualche genitore a controllare, ma in quella bolgia ne usciva più disorientato che mai. Più vicina, a poco più di cento metri da casa mia, c’era la casa del popolo di Soffiano, un edificio ampio a due piani munito di due ambienti per il ballo, uno invernale ed un altro estivo, molto ampio e gradevole, con quattro enormi tigli che emanavano un profumo intenso, e fu per questo che la frequentai a volte nel dopocena. Una sera casualmente vi incontrai due persone che erano state con me nella stessa ditta, uno capo-tipografo e l’altro litografo ed in quell’occasione gli indicai dove abitavo. –Non sarai mica venuto qui a fare danni?– mi chiese uno dei due scherzosamente. –Spero proprio di no– risposi sorridendo. La frequentazione del casa del popolo a San Quirico di Legnaia, mescolando ricreazione ed interessi diversi, prese consistenza e mi trovai coinvolto in discussioni e, parlando poco ma ascoltando tanto, cercai di orientarmi in quella che, inizialmente per me, fu una Babele di pareri discordanti.

Sentivo parlare di argomenti che mi interessavano e soprattutto il contraddittorio a volte mi intrigava. Inoltre a volte mentre assistevo a delle chiacchierate mi veniva chiesta la mia opinione, forse per curiosità, segno comunque che non c’era preclusione verso chi era arrivato da poco in quell’ambiente. Ricordo benissimo la prima volta in cui mi trovai immerso in una diatriba politica, per l’apprensione che provocò in tante persone la crisi di Cuba per la quale sentii parlare di “rischio di una guerra mondiale”. Quando Ivan e suo fratello, con i quali parlavo spesso, dissero che “bisognerebbe fare una veglia per la pace” sentii commentare alle mie spalle “le veglie con le candele in mano si fanno dai preti”, facendo sganasciare dalle risate i presenti. La battuta fece sorridere però non passò inascoltata perché il pensiero di Ivan venne ripreso da un attivista socialista, un uomo di mezza età che come tratto distintivo portava spesso con sé il giornale Avanti. –Hai ragione non ti lasciare influenzare da discorsi a bischero– . –Ecco lui che vuol dire la sua. Vai a dirla nel tuo partito visto che state con i democristiani amici degli americani– . –Lo sai o no che siamo in un periodo di guerra fredda e che il mondo è diviso in blocchi dopo la conferenza di Yalta?– . –Ecco il sapientone che ci vuol spiegare come va il mondo. Dove sta scritto che gli italiani debbano approvare tutto ciò che fanno gli americani perché siamo alleati con loro?– . –Lascia perdere per favore- . La cosa si sgonfiò come accadeva spesso con code di giudizi che non avevano niente a che a fare con la politica. Venivano riesumati episodi pregressi dando la stura, a volte, a giudizi velenosi sulla persona e questa cosa, anche in seguito, mi ha sempre dato fastidio.

Seguirono in breve tempo eventi importanti, che trovarono riscontro anche nel dibattito spicciolo, come la morte di Giovanni XXIII che si impegnò per un rinnovamento della Chiesa proclamando un evento epocale come il Concilio Vaticano II. L’attenzione che ricevette anche da parte del mondo laico non fu casuale perché si prefigurava, nelle premesse, il segno tangibile di una volontà di affrontare le nuove problematiche che i tempi andavano ponendo. Per questo la morte del Pontefice fu motivo di preoccupazione tra coloro che si approcciavano alla politica in maniera più ragionata andando oltre le battute da bar. Un evento che suscitò molta soddisfazione tra i militanti del Pci fu l’esperienza spaziale di Valentina Tereskova nel 1963, la prima donna che volò nello spazio, a coronamento di precedenti esperienze che avevano consolidato, nell’immaginario collettivo, un primato stabilito dall’Unione Sovietica a partire dal primo lancio dello Sputnik nell’Ottobre del 1957, l’invio del primo essere vivente nello spazio ed infine con Jury Gagarin primo uomo nello spazio nel 1961. Questa corsa spaziale fu un terreno di scontro ideologico e militare ed un potente mezzo di propaganda politica per la supremazia nel mondo, che non poteva avvenire con armi nucleari.

Anche l’assassinio di John Kennedy, sconvolse il mondo con le terribili immagini viste da milioni di telespettatori. L’uccisione in diretta dell’uomo più potente del pianeta non poteva ovviamente passare sotto silenzio e le vicende che emersero sulle indagini successive, si prestarono a dubbi ed illazioni pesantissime che non giovarono alla credibilità degli Usa anche se “in periferia”non mancarono le solite battute. -Che te lo sei messo il lutto?– fu chiesto scherzosamente ad uno che diffondeva l’Unità. –Io certamente no, lui che è saragattiano sicuramente– affermò strizzando l’occhio facendoci voltare tutti dopo avere indicato la persona mentre attraversava la strada. Ignaro egli si aggregò a noi e qualcuno del gruppo pensò bene di attizzare immediatamente una discussione riferendogli quanto detto alle sue spalle e così si formò un capannello di persone che anche scherzando od aggiungendo del battute ironiche montarono ad arte la contesa. Chi era in minoranza ad un certo punto rivolgendosi a quelli che facevano da contorno sbottò: –A me non mi ci mettete nel mezzo cari “rizzabischeri”. Arrivederci– . –O che vai via proprio ora? Ci si stava divertendo un mondo– ribatté uno dei presenti. –Lo conosco bene il giochino. Vado a bere; ciao a tutti- .

Fa sempre così– commentò scuotendo la testa un suo antagonista politico. Si toccava con mano nel minuto e fitto scambio di opinioni, seppur emergessero divergenze, di come si mantenesse uno stimolo nel voler commentare quanto vi era di importante in ciò che ci circondava e ci condizionava.

Gino Benvenuti, 2021

La Gita al Mare

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

Un Sabato pomeriggio tra una partita di canasta e l’altra, alla casa del popolo, decidemmo di andare il giorno seguente al mare perché un amico, che aveva comprato da poco una Nsu Prinz, si rese disponibile. Finito di giocare pensammo a come organizzarci e decidemmo di darci appuntamento alle sei del mattino, davanti alla casa del popolo stessa, portando ognuno qualcosa che trascrivemmo singolarmente sul foglio usato per annotare il punteggio del gioco. Chi come me portò due sedie pieghevoli trasportandole con lo scooterino, chi una sdraio, chi un ombrellone ed un tavolino piccolo da campeggio. Il padrone dell’auto constatato che il bagagliaio era in parte occupato da attrezzi di lavoro cercò di sistemarlo fino alla saturazione e rimasero fuori il tavolino ripiegabile e la sdraio che legammo, con delle cinghie elastiche munite di un uncino, al portabagagli. La mattina, appena aperta la casa del popolo, facemmo una colazione abbondante acquistammo due bottiglie di acqua minerale, che inserimmo in una borsa di plastica insieme a del ghiaccio tritato, fornito dal barista, da tenere dentro l’auto, pronte all’occorrenza .

Con “la mobilia” sul tetto della macchina, salutammo alcuni clienti mattinieri e partimmo in direzione della “Volterrana” dove prima di arrivarci facemmo il pieno di benzina vicino al Galluzzo dividendo ovviamente la spesa; la giornata si preannunciava splendida. Eravamo in cinque stretti come sardine. Due fumavano, ma con i finestrini aperti ed a me, che allora non fumavo, non davano fastidio. Per guadagnare spazio ad un certo punto chi sedeva accanto al guidatore, dopo una fermata aveva tirato leggermente avanti il sedile per permettere a quello dietro di potere allungare le gambe. Era una posizione scomoda ma non ci sembrava che ne soffrisse perché ad un certo punto mise il braccio fuori dal finestrino ed il guidatore per fargli uno scherzo rasentò un muretto prima di fermarci a Volterra per prendere un caffè. Sentimmo un urlo perché impaurito fece appena in tempo a toglierlo. Fra barzellette, pettegolezzi, qualche ammissione privata ed anche pareri su questa o quella ragazza che frequentava il circolo, gli argomenti non ci mancarono ed il tempo volò. Parlammo anche sulle radioline portatili, che uno di noi voleva acquistare, ed i miei amici sciorinarono una serie di marche e di valutazioni di cui tenni conto quando mi decisi a comprarne una qualche mese dopo. Per distenderci aspettammo che scendesse il guidatore ed in un bar dopo aver bevuto approfittammo della toilette.

Una volta giunti a San Piero a Palazzi girammo verso destra direzione Livorno. Il traffico era intenso e noi andando piano venimmo sorpassati sistematicamente con colpi di clacson insistenti e ripetuti, da alcune auto che sembravano aver fatto un trasloco; su una c’era un materasso arrotolato e su un’altra un gommone che sporgeva davanti e dietro flettendo ad ogni buca. L’Italia vacanziera pur di godersi un giorno di mare era disposta, come noi del resto, ad arrangiarsi in qualsiasi modo. Non avevamo una meta precisa ed intorno alle dieci dopo aver fatto su e giù lo stesso tratto dell’Aurelia una domanda sorse spontanea.
Dove ci si ferma?– chiesi vedendo che andavamo verso Livorno e forse saremmo passati da Antignano.
Ci sono venuto con il mio babbo un mese fa– precisò il conducente -e so che c’è un posto molto comodo proprio vicinissimo alla spiaggia.

Dopo un quarto d’ora ci fermammo invece tra Vada e Rosignano Solvay di fronte ad un tratto di spiaggia che avrebbe dovuto esser libera, ma che in realtà era già affollata. Lo si capì dagli scooter e dalle auto che ci resero difficile trovare un posto dove parcheggiare all’ombra. Alla fine ci riuscimmo e con il nostro carico di mercanzia, attraversata l’Aurelia riuscimmo a piazzarci vicinissimo al mare dopo aver chiesto a due famiglie se potevamo collocare il nostro piccolo ombrellone. Dopo averlo picchettato cominciammo a spogliarci. Ognuno aveva il proprio slip già indossato a casa ovvero le mutande “Cagi”. Creme solari e sapone niente: figuriamoci lo shampoo che non era stato nemmeno preso in considerazione. Prima di andare al mare facemmo crocchio per decidere, sottovoce, di fare i turni all’ombrellone per poi andare subito di corsa dentro l’acqua.
Sono tutte persone oneste ma è meglio vigilare– mormorò Piero, che aveva un bellissimo orologio, mettendosi una mano davanti alla bocca.
Penso anch’io– sibilai a denti stretti perché una signora mi stava osservando. Probabilmente lei intuì quello che avevamo detto perché, prima di sfilare la corse verso l’acqua, ci rassicurò che potevamo stare tranquilli perché “noi siamo del posto e non è mai sparito niente”.

Rispondemmo in coro con un “grazie” ed io che dovevo fare il primo turno di guardia, mi aggregai a loro. Allora non sapevo nuotare e non mi allontanai dalla riva. Sguazzavamo divertiti schizzandoci l’acqua addosso e guardandoci attorno. Uscimmo dall’acqua dopo una mezz’oretta e dal nostro ombrellone notammo che alcuni ragazzi avevano spianato, con un listello di legno, un po’ di spiaggia per giocare a calcio e quando ci mettemmo un attimo a vederli palleggiare fummo invitati a giocare; temporeggiammo un poco. –Allora si gioca? Livornesi contro fiorentini– insisterono i ragazzi. In realtà l’unico tra noi che aveva un po’ di dimestichezza con il pallone ero io che avevo terminato il campionato degli juniores da non molto.

Gli altri quattro erano scarsi ma ormai la sfida era approntata anche perché il sole picchiava fervente ed un ombrellone come il nostro era troppo piccolo; tanto valeva ancora fradici asciugarci giocando. Spesso qualcuno mi sgridava con “passa la palla” perché cercavo da solo di colmare un divario che era soverchiante. Il più grasso lo mettemmo in porta; fu un disastro come la partita. Involontariamente cercò di calciare al volo il pallone che rimbalzò all’ultimo istante per cui lo “ciccò” completamente colpendo invece lo stinco di un avversario. Nacquero dei battibecchi ed alla ripresa del gioco, essendo vicino a lui, nel rinviare mi colpì in pieno volto determinando un’autorete. La gente sghignazzava mentre mi toccavo la testa, ma la partita continuò in un campo impraticabile per le buche che resero difficile calciare con precisione; tutti dietro alla palla tra contrasti, cadute ed imprecazioni.

Venimmo sommersi sotto una valanga di gol sotto gli occhi dei divertiti presenti anche se alla lunga cominciammo a disturbare gente con il proprio transistor, persone che stavano prendendo la tintarella, perché il pallone spesso rimbalzava tra gli ombrelloni. Dopo un richiamo risentito di uno che si era visto sfondare il proprio giornale dal pallone, la seconda volta che gli batté su un piede lo afferrò e, con rabbia, lo calciò con tutta la forza buttandolo in mare; chiudemmo lì il nostro divertimento e stanchi e sudati ci buttammo di nuovo nell’acqua restandoci a lungo. Quando uscimmo nel dirigerci verso l’ombrellone notammo che altre persone erano arrivate in quel posto. Accanto a noi un gruppo familiare, sotto un tendone da mercato rionale, aveva organizzato una cucina da campo sotto la direzione di una donna che indossava una veste e che probabilmente non avrebbe fatto nemmeno un bagno.

Lei con un fornellino a gas con sopra un marmittone, aveva preparato una spaghettata. Da due borsoni tirò fuori di tutto. Frutta, oliera, sale, pepe, ciocche di basilico, una busta con il parmigiano grattato, posate a sfare, forchettone di legno, un thermos con il caffè. Un bambino scavò una buca fino a che non trovò la sabbia umida e ci interrò dentro un cocomero ed un popone per metterli al fresco. Mi tornò a mente il film La Famiglia Passaguai con il figlio di Aldo Fabrizi che metteva al fresco un cocomero regolarmente ghermito da altri villeggianti. Una bambina contava le posate ed un’altra ragazza apparecchiava. Il nostro tavolino era poco più grande di uno di quelli dove si giocava a dama e quell’ombrellone era insufficiente perché il sole batteva a picco. Andai a prendere il borsone con panini e bevande dal portabagagli dell’auto che, parcheggiata al riparo di un albero, era già in pieno sole e lo portai vicino all’ombrellone. –Chi pensa di fare il bagno?- domandò Prinz.

Nessuno rispose. –Allora finiamo tutto quello che abbiamo perché dopo un sonnellino ci rimetteremo in marcia e se avremo voglia di prendere qualcosa ci fermeremo ad un bar– .
Giusto– . –Magari muoviamoci verso Livorno– . Nemmeno fossimo stati a cottimo demmo fine a tutto quello che avevamo portato. Sotto un ombrellone vicino al nostro, mentre stavamo distendendo gli asciugamani, un uomo sempre con la radiolina attaccata agli orecchi ci chiese:
Lo volete un po’ di caffè?– .

Non ce la facemmo ripetere due volte e ringraziando andammo verso di lui. Bevuto il caffè, l’uomo che era stato sdraiato da quando eravamo arrivati, mi offrì una sigaretta che rifiutai dicendogli che non fumavo ma Piero sfrontato non la rifiutò e così ci sedemmo a far due chiacchiere sotto il loro ombrellone. Ci disse che era uno spazzino e che a Firenze conosceva delle persone con le quali si teneva in contatto. Infine ci tenne a farci sapere che “puntualmente da diversi anni vengono in questo posto a fare le vacanze”. Fu tutto un parlare fino a che la signora tagliando a fette il cocomero volle offrircene una a testa. La conversazione continuò raccontando di noi, del lavoro che facevamo ed alla fine ringraziando ci appartammo per riposarci. Seduti sugli asciugamani ci accorgemmo allora che nessuno aveva portato la crema solare. Per ripararsi indossammo le magliette e ci mettemmo i pantaloni appoggiati sulle cosce. Dopo poco uno di noi cominciò a dormire ed io, che non mi sentivo di stare sdraiato, mi misi a veder giocare a scopa ed a briscola le persone dell’ombrellone più vicino, dopo che avevano sgomberato il loro tavolo. Mi raggiunse Piero che approfittò per scroccare un’altra sigaretta e rimanemmo in attesa che si svegliasse “Prinz”. Non volevamo restare lì a lungo ed alla fine decidemmo di svegliarlo strattonandolo.

Così, dopo aver salutato i vicini di ombrellone, sistemammo di nuovo tutta la mercanzia sul portabagagli e via di nuovo in movimento. In auto cominciò una diatriba tra chi voleva fermarsi a Castiglioncello e chi a Quercianella. La questione non riguardava il luogo ma esisteva per il fatto che due di noi avevano fatto conoscenza con delle ragazze nelle rispettive zone. -Il problema non esiste. Quercianella e Castiglioncello sono attaccate. Si può parcheggiare e poi ognuno va per conto proprio per ritornare ad una certa ora- . –Sentite io non ho voglia di venire a reggere il moccolo. Se vuoi andare a trovare quella ragazza ti si lascia lì e si ripassa a prenderti brontolai.
Giusto– rincalzò il proprietario dell’auto il cui parere ovviamente valeva più di ogni singolo. –Il film Il Sorpasso l’hanno già girato e non c’è bisogno di comparse! – rincalzò Piero. Nel parlare concitato non ci accorgemmo che eravamo già oltre i luoghi richiesti ed io desiderai di rivedere anche di sfuggita la sagoma della colonia Firenze che mi aveva ospitato.

Chiesi di rallentare e fui accontentato, ma sull’Aurelia il traffico era intenso e fummo oggetto di una serie di colpi di clacson e qualche imprecazione. Notai la scritta “Casa Firenze” su un edificio ed indicandola dissi: –Guardate sono stato qui in colonia– . Dalla parte opposta vidi schiere di bambini sulla spiaggia e dedussi che fosse ancora in funzione. Chi guidava notò che c’era un pezzo di spiaggia vuoto sulla sua sinistra però era rischioso fare manovra di inversione e così proseguimmo fino a che approfittando di una dirittura che garantiva una visibilità migliore facemmo un’inversione ad u. Riuscimmo a ritagliarci un piccolo spazio con i nostri asciugamani ed a turno ci buttammo di nuovo in acqua. Una volta riuniti notammo che non c’erano locali vicino ed al primo stimolo di sete, preferimmo alzarci e tornare verso casa.
Prima asciughiamoci bene– puntualizzò Prinz –altrimenti mi bagnate i sedili– . Era un uggioso che durante tutto il viaggio si era raccomandato di non gettare le cicche all’interno dell’auto e nello scendere dall’auto si era irritato gridando “mi avete riempito di sabbia le pedanine”.

Avevamo gli asciugamani ma non il cambio e per non perdere tempo ci infilammo i pantaloni. –Ma che fate?– domandò Alessio. –In un quarto d’ora si asciugherà tutto– risposi. –Sì ma quando si riparte metti l’asciugamano sul sedile– precisò Prinz. –Tranquillo te la porteremo a lavare e pagheremo noi. Vero ragazzi?– propose Piero. –Giusto facciamo così– . –Vi prendo in parola– commentò il proprietario. –Vicino all’officina dove lavoro c’è un lavaggio. Ottimo lavoro e buon prezzo. Domani gli chiederò quando la potrai portare– . Chiuso questo battibecco, ci infilammo nel primo bar a nostra portata in tempo per vedere due ragazze che ballavano da sole al juke-box. Bevemmo una birra a testa stando al fresco e dopo inserendo tre gettoni nel juke-box le invitammo tra di noi ed accettarono. Finita la musica, ripartimmo dopo averle salutate.
Ci siete anche Domenica?– domandò Piero.
Certamente– confermarono sorridenti- .
Allora si torna– . –Vi aspettiamo– ci dissero sventolando la mano mentre entrammo in auto.

Arrivammo a casa semplicemente arrostiti stanchi ma contenti di aver passato una giornata diversa. Io andai subito in bagno e guardandomi allo specchio ero rosso come un peperone. La sera restai in casa chiedendo a mia madre che mi fosse spalmata una pomata contro le scottature, perché avevamo in casa una piccola farmacia e provai immediatamente un senso di sollievo, ma appena mi appoggiai alla poltrona sentii la pelle tirare. Fu una vacanza improvvisata come tante e bastava vedere il traffico nel fine settimana come attestato di un desiderio seppur effimero. Erano gli anni in cui il popolo italiano scoprì le vacanze estive e si riversò nelle località marine con qualsiasi mezzo, come dimostrarono varie sequenze del film Il Sorpasso ed in una di queste si vede una moto con sidecar, dentro al quale sta una donna con un bimbo in braccio che Gassman sbeffeggia “E il nonno non è voluto veni’?” salvo poi aggiungere “belle famiglie italiane”. La spiaggia diventò il luogo privilegiato di incontro come le piazze in città nelle stagioni non estive e le immagini furono il termometro della voglia di divertirsi e della spensieratezza del popolo italiano, tra incontri, approcci, avventure, conversazioni, gusto di ostentare, sorrisi, tintarelle e soprattutto danze scandite dal quel totem che fu per noi il juke box, che diffondeva le canzonette in voga.

Importante era esserci, non importava per quanto e come, dando sfogo alla voglia di vivere oppure anche per ritemprarsi dopo un anno di lavoro. In quella massa di villeggianti ognuno si ritagliava le proprie vacanze grazie anche ad un altro simbolo di quel periodo: la cambiale. Erano gli anni in cui molti però cominciarono ad organizzarsi anche per soluzioni più onerose e stabili. Infatti nei primi giorni di Settembre, quando ormai si era esaurito il ciclo delle vacanze, cominciavano a vedersi nella casa del popolo volti abbronzati che nei primi giorni facevano le loro considerazioni sulle loro ferie, dove erano stati, il trattamento ricevuto, l’importo della spesa ribadendo anche in alcuni casi il desiderio di ripetere la loro esperienza. La cosa si protraeva per diversi giorni suscitando anche reazioni sarcastiche. Una sera assistei ad una scenetta divertente quando una persona, da più di un quarto d’ora, magnificava le proprie vacanze e per un po’ ci fu chi lo stette ad ascoltare però ad un certo punto venne interrotto: –Scusa compagno proletario come la metti adesso?– domandò, facendomi l’occhiolino, uno che si diceva vivesse una situazione economica agiata. –Perché pensi di poterle fare solo te le ferie? Ora ce lo possiamo permettere anche noi, caro quattrinaio– fu la replica piccata di colui chiamato in causa. –Allora non sei più proletario. Gliel’hai detto al partito?- . –Io non sarò più proletario ma te lo sai cosa sei?– . –Cosa? Sentiamo– . –Sei semplicemente un bischero ! – . Il battibecco non si chiuse qui anche perché, come succedeva spesso, individuata una persona reattiva, cominciavano quelle punzecchiature sarcastiche, dove era difficile distinguerne lo spirito subito corroborate da altre interferenze. –Hai fatto bene a rispondergli. Viene qui a fare lo spiritoso dopo che ha la casa al mare, eh! Sei stato anche troppo morbido– rinforzò sorridendo un’altra persona suo collega di lavoro, gettando benzina sul fuoco; lo conosceva bene e sapeva che per un nonnulla si infiammava. –Insisti, Giuseppe– incitò ridacchiando.

Fomentata la contesa, scattava la trappola per il soggetto “sensibile”; replicare o lasciar perdere? In quel frangente la cosa sembrò essersi smorzata, ma qualcuno insisté. –Se ce l’ha la casa al mare, buon per lui che in fondo ha sempre detto di non essere iscritto a nessun partito e di essere un borghese convinto. Lui è coerente, mica come tanti che parlano di sfruttamento… – . Non ebbe finito di finire il discorso, che la reazione giunse immediata da chi sentì in queste parole un’allusione nei propri confronti: –Senti, tu metti bocca quando ti si dà il permesso. Per tua norma io non sfrutto nessuno con paghe da fame a differenza di lui, capito?– controbatté la “vittima prescelta” alzando il tono della voce e puntandogli il dito contro il petto. In un crescendo continuo si arrivò anche a delle offese fino a che uno dei presenti chiese che ore fossero. Ad una risposta precisa, commentò: –S’è trovato l’ora di andare a cena; arrivederci– . Come a comando il gruppetto si sciolse e la discussione finì.

Gino Benvenuti, 2021

La grande fuga

ovvero “Quando il troppo stroppia”

Tutti scappan da Salvini
più egli ostenta il suo sorriso
e più resta a tutti inviso
saran tutti dei cretini?

Nell’Italia più moderna
è la Lega la più anziana
tanti i figli di puttana!!
ma non pole esser alterna,

è la legge del Gran Centro
sol l’apprezza chi c’è dentro.

Se agli estremi tu t’involi
ti consolin solo i cannoli
gran leccornia siciliana
apprezzata anche in Padania.

È la tabe dell’inizio:
se il terron hai disprezzato
e oggi poi hai continuato
col terron della terronia
fin che arrivi in Patagonia
non ci resta che aspettare,

che sia finito il navigare,
siamo tutti su una sfera
ed a forza di girare
alle spalle dèi arrivare.

Attenzione dunque che
tu t’inculi da per per te.

Il Baffo Aretino, 16/9/2021

Il sor Matteo disvelato

indovina: chi son io?

Sor Matteo m’hanno chiamato
Oppur Salvini son nomato
Non è ver che sia invadente
O vi mollo un bel fendente
Lo sapete come va
Oggi qua domani là
Son presente a ogni consesso
Come un vero e proprio ossesso
E mai perdo l’occasione
Mangio e bevo e fo’ il buffone
Oramai ci sto a pigione

Allor dimmi: chi son io?

per saper chi son davvero
lègger non dèi tutto l’intero
prendi solo il capoverso
ti si svela l’universo

Allor scoperto avrai il mistero
di Salvini il nome vero

Il Baffo Aretino, 14/9/2021

La Cambiale

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

Insieme a Carosello bisogna parlare anche della cambiale, che è stata uno strumento importante, in quel periodo, per potere accedere ai beni di consumo senza avere nell’immediato una disponibilità di liquidità. I cosiddetti “pagherò” altro non erano che un credito offerto per acquistare ratealmente ciò che ci piaceva, impegnandoci ad onorarlo. “Pagherò” o “farfalle” furono lo strumento ideale per acquisire generi di consumo rateizzati ed i tempi in cui Rascel cantava nel varietà “è arrivato il ventisette/ prendo a rate una cambiale” diventarono un pallido ricordo.

Nel corso del tempo sono state soppiantate da altre modalità di finanziamento domestico, ma durante il boom economico passavano di mano in mano come i soldi.
Perché si potesse realizzare questo circolo virtuoso ci volevano delle condizioni particolari che oggi però non esistono: l’ ottimismo di un futuro confortevole e migliore del presente, una voglia di vivere e soprattutto un lavoro sicuro unito alla volontà di onorare il debito. Su questo aspetto non influiva solo il timore di essere elencato in una specie di “lista nera” che le camere di commercio compilavano e pubblicavano scrupolosamente per tutti gli esercenti, al fine di segnalare imbroglioni o inadempienti. Dove non arrivava questa segnalazione ci pensava, nel parlare minuto, il passaparola più letale degli elenchi, che segnalava con discrezione o meno, “attento al cabriolet (assegno scoperto)”, oppure strizzando l’ occhio al negoziante.

Essere additato silenziosamente dal pettegolezzo a volte complicava anche il semplice colloquiare, come se fosse scattato una sorta di anatema e di questo ne fui direttamente testimone quando una volta andai dal meccanico per una riparazione al mio scooter. Appena un cliente si allontanò ci fu subito uno scambio, tra i presenti, di occhiate e sorrisetti e venne bollato da un’ altra persona che mise in guardia il proprietario dell’ officina: Stai attento Bruno non gli fare credito poi te lo dico io perché .

Non disse la motivazione ma fu eloquente il riscontro dei presenti. Viceversa quando uno mostrava la propria moto od auto, acquistata un po’ di tempo prima, era motivo di orgoglio far sapere che aveva estinto il debito puntualmente.
In merito a quanto detto assistei ad un siparietto a dir poco esilarante, quando una mattina andai dal giornalaio.
Un buontempone sempre scherzoso incontrò, davanti all’ esposizione sul banco dei giornali, un anziano condomino, come seppi dopo, e gli domandò:
Che è vero che i’ tu’ figliolo l’ è nella lista nera?-
Ma che mi dai i numeri?– rispose l’ ometto guardandolo di traverso.
Eppure me l’ hanno detto– insisté il giovane ridacchiando mentre mi guardava.
I’ mi’ figliolo un n’ è fascista- .
Cosa c’ entra la politica? E dico che non paga le cambiali; hai capito? Per questo è nella lista nera– .

L’ anziano, che fece gesto di non sentire, lasciò perdere ma quando il giovane se ne andò, salutandolo gli disse:
Giovane, meglio non pagare le cambiali che avere le corna– .
Io rimasi l’ ultimo ad essere servito dal giornalaio che una volta uscita la persona anziana, commentò sghignazzando:
Il problema è che hanno ragione tutti e due– .
Mia madre mostrava un’ avversione verso le cambiali celandosi sempre dietro la scusa che “pagare in contanti è più vantaggioso perché si acquista a meno” ma io quando anni dopo comprai la 500 perché ero a ruolo nello Stato, ne firmai un pacco prima di uscire dal concessionario e mi ripetei cinque anni dopo per l’ acquisto della A 112.

Gino Benvenuti, 2021

Tanti auguri al sor Matteo

Il sor Matteo è in affanno
più si muove e più fa danno
vuol la gente lui incontrare
ma non sa poi cosa fare.

I discorsi son piccini
sempre uguali, da bambini
Ora bianco ora nero
non appar proprio sincero.

Parla, urla e s’arrabatta,
la sua faccia è una ciabatta.
A metà del contributo
pur gli scappa uno starnuto.

Ma la gente, che tranquilla vuole stare,
senza il tafano a ronzare,
più il fastidio non sopporta
cacciar vuol, lui fuor di porta.

É pur vero che il moscone
sulla merda sta a pigione
ma se pur stanno nei trulli
non son tutti dei citrulli.

Che la massa è brutta bestia
cosa è ormai ben manifesta:
pria t’adora poi ti detesta,
più non hai la lancia in resta.

É un momento, un attimino
ripercorrere il destino
del pompiere di Viggiù
che poi cadde a testa in giù

TANTI AUGURI MATTEO!!!

Il Baffo Aretino 12-9-2021

É il contesto, Bellezza!

Montanelli e l’eterno ritorno dell’uguale

In merito alla replica dell’intervista fatta a Marco Travaglio, autore del libro INDRO, da Giorgio Zanchini a QUANTE STORIE sul passato colonial-coniugale di Montanelli in Etiopia, vorrei, partendo dalle dichiarazioni di Travaglio, fare alcune osservazioni.
La linea difensiva dell’autore poggia sui seguenti punti:

A – I fatti vanno inquadrati nel contesto spazio-temporale in cui sono avvenuti. All’epoca l’usanza di fare sposare bambine – ma in Africa erano già donne, sic! – di 12 anni era diffusa. I valori di allora non erano quelli di oggi, perciò il giudizio ne deve tenere conto. Pertanto quei giovani scalmanati che hanno osato oltraggiare il monumento del “divino” Indro hanno dimostrato di non conoscere la storia.

B – Montanelli era in perfetta buona fede, anzi, per la bambina e per la sua famiglia è stato una vera manna dal cielo, tanto che lo hanno ricambiato con affetto e gratitudine … anche se sappiamo, per bocca dello stesso Indro, che all’inizio lei non voleva …

C– Il comportamento di Montanelli non merita di essere decontestualizzato, come non lo merita, ad esempio, Cristoforo Colombo che scoprì l’America, ma che non può essere ritenuto responsabile del colonialismo e dello schiavismo che ne seguirono. A quel tempo si usava così.

D – Montanelli ha sempre dato prova di coerenza e di coraggio, non è mai sceso a compromessi e ha riconosciuto di essersi sbagliato sia su Mussolini che su Berlusconi rimettendoci di persona …

Osservazioni

1 – Insomma, tutta la colpa sarebbe del contesto. Il contesto sarebbe il capro espiatorio che solleverebbe il soggetto da ogni responsabilità. Da ciò si evince che, siccome tutti, per fortuna, disponiamo di un contesto, anche se ci comportiamo male, siamo innocenti. Non siamo noi a peccare, è il contesto che pecca per noi! Sei stato tu? Io no! Allora chi è stato? E’ stato il contesto, quel brutto e cattivo! Menomale che il contesto c’è. Lui è il nostro “santo – o diavolo – protettore.” E’ colui che si addossa tutte le colpe per salvarci la reputazione e renderla più bella e splendente che pria! E’ al contesto che bisognava fare il monumento, mica a Montanelli!

2 – L’onestà intellettuale di Montanelli è fuori discussione come lo sono il suo endemico maschilismo e la sua innocente distrazione nei confronti dei diritti umani. Il fatto che il grande giornalista, dopo tanti anni parlasse di quel periodo della sua vita, con disinvoltura e compiacimento, senza mostrare alcun ripensamento, non costituisce un attenuante, ma un aggravante. Ad un maturo intellettuale del ventesimo secolo di una società democratica non è consentito manifestare idee tanto retrive senza pagare pegno. Richiamare l’attenzione sul caso Montanelli come hanno fatto gli imbrattatori del monumento, non significa ignorare la Storia, ma piuttosto conoscere i DIRITTI UMANI ( che della Storia fanno parte). Però, riguardo alla profanazione del monumento e, in generale all’inopportunità di abbattere quelli dedicati a personaggi più o meno controversi, concordo con Travaglio. I monumenti devono restare al lori posto non tanto per ricordare i personaggi – in questo caso Montanelli – ma per ricordare a noi tutti quanto sono stati cretini gli italiani che gliel’hanno dedicato!

3 – Se Travaglio tenesse conto del contesto corruttivo di questo paese nel quale proliferano senza soluzione di continuità i nemici della cosa pubblica contro i quali egli dirige – giustamente – i suoi strali di angelo sterminatore, avrebbe usato altro stile e altri toni … Se tutti rubano, dove sono i ladri? Se tutti stuprano le bambine etiopi di dodici anni, dove sono gli stupratori? Tutti ladri? Nessun ladro! Craxi docet…. E’ il contesto, bellezza! Ma lui giustamente non fa sconti contestuali ai corrotti di “casa-cosa nostra.” Con Montanelli invece usa non il bastone, ma la carota, ma c’è da capirlo. Montanelli lo ha creato è i’ su’ babbo. “Babbo ti voglio bene e ti difenderò fino alla morte. Grazie babbo … sig sig … !”

4 – Montanelli maestro di etica perché non opportunista, perché ebbe il coraggio – pagando di persona – di ribellarsi al fascismo e poi anche a Berlusconi? Certamente, ma non mescoliamo le pere con le mele. Riconoscere la dignità di un popolo colonizzato e di una minorenne di colore non rientrava nel suo codice d’onore, perché era un fascista. Non poteva fare ammenda del suo passato coloniale perché per lui quell’occupazione e quel matrimonio non furono errori, ma atti eroici da premiare con la medaglia al valore! Non erano suoi pari, erano esseri inferiori, esattamente come i nativi americani “scoperti” da Cristoforo Colombo, con la trascurabile differenza che da allora sono passati quasi cinque secoli! Montanelli – rendiamogli l’onore delle armi e della verità – è stato un colonialista, un razzista, onesto e coerente perché perfettamente in pace con la propria coscienza … di fascista!

Anna Maria Guideri, 12/9/2021

Carosello

Da: Anni cruciali. 1957-1968 / Gino Benvenuti. Il Punto rosso, 2021. http://www.puntorosso.it/edizioni.html

L’ economia si sviluppò anche grazie alla nascente industria della pubblicità e quando si parla di essa è obbligatorio parlare di Carosello non solo perché fu l’ unica agenzia nazionale autorizzata in merito, ma per l’ impatto che ebbe e per l’ originalità che espresse.
Esso non
fu solo il pretesto, come per molti miei coetanei, che permise a me di andare al bar fruendo delle immagini televisive prima di coricarmi, ma soprattutto si dimostrò un poderoso mezzo di pubblicità. Fino a metà degli anni ’50 si vedevano insegne al neon, pannelli metallici o in legno sopra l’ ingresso nei negozi, oppure le squadre di attacchini in bicicletta, con il rotolo dei manifesti ed il barattolo di colla appeso al manubrio, che si fermavano davanti agli appositi tabelloni, il tutto lentamente eroso da crescenti inserzioni pubblicitarie sui giornali e rotocalchi.

Dall’ avvento della televisione con l’ uso delle immagini, che lei trasmetteva in esclusiva, cambiò radicalmente il messaggio pubblicitario, a volte realizzato da registi di chiara fama, del quale si resero testimoni attori ed attrici, che già erano stati protagonisti di film o personaggi del mondo dello spettacolo. La rubrica andava in onda tutti i giorni salvo qualche ricorrenza religiosa oppure in occasione qualche evento nefasto ed eccezionale. Chi non ricorda tra i primi spot il commissario Rock che, dopo aver individuato il colpevole, al commento del suo assistente “Lei è un fenomeno ispettore; non sbaglia mai” risponde, togliendosi il cappello e mostrando la testa completamente calva, “non è vero anch’ io ho fatto un errore. Non ho mai usato la brillantina…”, oppure Dapporto nelle vesti di Agostino pugile che dopo avere preso un sacco di botte, alla domanda “come mai ride ?” sfoggia un sorriso reclamizzando un dentifricio.

Come non ricordare Buscaglione che cantando Che bambola propaganda un liquore mentre Calindri seduto nel mezzo di un traffico caotico sorseggia un amaro contro “il logorio della vita moderna”, oppure Viarisio, che si esprime in rima per un panettone o Billi e Riva che promuovono un detersivo. Il Moplen, un tipo di plastica, che entrando in tutte le case, non solo per sostituire la ceramica bensì anche come elemento di arredo con i suoi contenitori dai colori vivi, diventò sinonimo di modernità venne pubblicizzato da Bramieri. Oltre all’ utilizzo di personaggi in voga, di cui sarebbe lungo l’ elenco, venne utilizzata la modalità dei cartoni animati con personaggi, che rimasero subito simpatici, come il piccolo angelo intento a spiare la terra con un cannocchiale, che vi si precipita quando individua un problema. Inevitabilmente si ficca in una pozza, sporcandosi la tunica immacolata, ma egli viene subito consolato da una voce femminile, che rimedia al guaio con un detersivo.

Chi non ricorda Ulisse, perseguitato da un ombra parlante, che cerca di frenare il suo nervosismo ed accetta il consiglio di bere un decaffeinato? o “l’ Omino coi baffi” testimonial di una caffettiera oppure l’ uomo che camminava su una linea pronunciando parole incomprensibili per reclamizzare una marca di pentole? Le immagini del tenero Topo Gigio sempre alla ricerca di coccole oppure quelle del Caballero che, in un assolato scenario messicano, dopo aver rintracciato la donna desiderata, dice “Carmencita sei già mia, chiudi il gas e vieni via” furono allora efficacissime. Memorabile il dialogo tra un vigile, con un accento marcatamente siculo che contesta una contravvenzione ad un cittadino veneto dicendo “concilia? Qui se non conciliamo a schifio finisce”. Costui a questa intimazione risponde “Mi son forestiero, per mi tutto va ben, tutto fa brodo” ed il vigile ribatte: “non è vero che tutto fa brodo” reclamizzando così un dado eccezionale per farlo.

L’ uso dei dialetti, durante gli spot pubblicitari, non fu né folkloristico né casuale bensì rispondeva alla finalità di cementare una realtà nazionale facendo sentire compartecipi tutte le regioni. Quando nel parlare quotidiano capitava di dire “tutto fa brodo” a volte c’ era qualcuno che a sentire questa espressione aggiungeva scherzosamente “non è vero che tutto fa brodo”. Come erano diventate lessico quotidiano alcune battute di spettacoli televisivi, così lo diventarono anche slogan pubblicitari. Io stesso quando andai una sera a comprare un panettone chiesi “un Alemagna”, il pizzicagnolo esclamò “Ullalla è una cuccagna!” cercando anche di mimare l’ artista ed ad un mio amico che al circolo ricreativo ordinò con me un brandy, il barista replicò “lei si che se ne intende”.

Questi slogan diventarono intercalari ed in qualche caso furono carburante anche per dei soprannomi come Calimero, l’afflitto anatroccolo irriconoscibile per la sporcizia del suo piumaggio, che diventò sinonimo di sfigato, riuscendo però a recuperare la sua immagine grazie ad un detersivo. I piccoli cortometraggi furono uno strumento di cattura dell’interesse con la finalità di far memorizzare la marca prescelta, aumentando il desiderio all’acquisto di prodotti di largo consumo perché la televisione godeva di attendibilità e garanzia dei prodotti, dimostrandosi una poderosa alleata della nascente industria. Ma per la mia famiglia che non aveva ancora la televisione e l’unico a vederla sempre più saltuariamente, ero io quando andavo al bar, allora la propensione al consumo non si sarebbe dovuta realizzare. Perché avvenne? Semplice: questa ricerca di beni, che rispondevano a desideri, era generalizzata e parte dei nostri colloqui quotidiani; inoltre vi era una forte motivazione imitativa.

Tante volte si è sentito dire in qualsiasi luogo “Lo dicono anche alla televisione”. Una sera ricordo bene che obbiettai su questo argomento dicendo:
Se non ce l’ abbiamo nemmeno la televisione come si fa a dire una cosa del genere?– . –La spesa la faccio io e non tu. Sono io quella che va al mercato e parlo con la gente– rispose la mamma.
Perciò una volta innescato il meccanismo sembrava di andare in automatico, perché maturò la convinzione che l’ offerta dei prodotti fosse non superflua, ma necessaria e non ci fu un settore che rimanesse immune da questa tendenza.

Gino Benvenuti, 2021

C’è una grande confusione sotto il cielo

Ma la situazione è davvero eccellente?

Il fatto

Una pandemia in molti casi letale affligge l’umanità
Non è un fenomeno nuovo né inaspettato. Le nostre letture sono piene di tali narrazioni: la peste d’Atene, la peste nera del Medioevo, la peste del Manzoni … Tutti gli analisti scientifici danno per scontata la creazione di nuovi virus, in parte frutto della forsennata attività antropica unitamente allea biologia dei virus.

Nella loro storia le comunità umane hanno preso misure collettive di contenimento se non di contrasto al morbo letale: aceto, sacrifici agli dei, purificazione col fuoco di luoghi e persone contagiati, linciaggi del tipo “dagli all’untore”… Al di là delle misure più o meno efficaci, sempre comunque frutto della cultura del momento, non trovo, nel passato, traccia di riprovazione sociale o di opposizione netta come quella di oggi da parte di minoranze contro le misure anti-covid.

Perché oggi?

Mettiamo che esista in ogni comunità/società un 1% di bastian contrari. Individui, anche intelligenti e colti, che non riescono a sfuggire alla trappola del “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Ho dei cari amici di tal fatta che apprezzo nonostante questa loro asociale anarchia.

Aggiungiamo a questi un altro 5% di individui schiavi di una loro particolare visione asociale del mondo: concezioni religiose o superstiziose. Sono comprensibili nonostante la follia delle tesi sostenute. Almeno riconosciamogli la buona fede…

Aggiungiamo a questi un altro 2% di benpensanti che confondono il buon pensiero con il non pensiero di gregge: quieta non movere, ogni innovazione è pericolosa, fatalismo esistenziale.

Un altro gruppo dei no vax sono gli attivisti di banda (non mi sembra il caso di scomodare né la politica nè i partiti). Teppaglia, squadristi per vocazione e costituzione che hanno trovato un buon pretesto per menar le mani e dare una qualche nobilitazione identitaria al loro teppismo e relativa squallida esistenza di decerebrati. Altri 2%

Un gruppo più numeroso è costituito dall’Anonima cretini virtuali. Il web e i social hanno liberato tanta intelligenza ma a anche tanta stupidità. Frustrati, ignoranti, disadattati e vigliacchi hanno trovato anch’essi nel web la grande occasione di manifestare un segno della loro presenza su questo mondo. Una presenza urlata, offensiva, apodittica … il terreno di coltura ideale per qualsiasi estremismo. È un gruppo numeroso, vicino forse al 10% ed in grandissima parte no vax, destro a dir poco, naturale consumatore e spacciatore di fake news.

Si deve aggiungere poi uno 0.1% (valutazione per eccesso) di politici che non avendo una identità né una politica da proporre alla società approfittano di ogni occasione per apparire in televisione non importa perché.

Primo quesito

Quello che stupisce è che un sistema politico preposto alla conduzione della nazione, basato sul principio della democrazia parlamentare, sia fortemente condizionato da poco più del 20% della popolazione, mettiamo pure un 25. e soprattutto disposto a svendere qualsiasi parvenza di dignità concettuale e di ruolo alla ragion pratica della bassa cucina del consenso.

Secondo quesito

Possiamo comprendere, anche se non accettare, le posizioni degli ignoranti, degli squadristi, dei politicanti … ma come possiamo accettare le posizioni di studiosi di chiara fama che abbiamo apprezzato per le loro opere scientifiche e per la loro appartenenza democratica come Agamben, Cacciari, Barbero, Canfora … Hanno firmato un elzeviro di logica aristotelica del terzo tipo: quella per cui se è vero che Socrate è un uomo, gli uomini sono mortali allora Socrate è mortale (silloge del primo tipo) non è vera la silloge del terzo tipo: Socrate è un filosofo, Socrate è un uomo, tutti gli uomini sono filosofi. In fondo alla storia dicono che le politiche vaccinatorie sono una bestialità che offende la dignità dell’uomo: al capra capra capra di Sgarbi manca davvero poco.

Sembra di assistere ad una catastrofe della ragione. Non intendo affrontare le sofisticate circonvoluzioni di tali altrimenti maestri, che continuo ad apprezzare nel loro campo specifico.

Riducendo la questione ai minimi termini:

1. la libertà individuale può essere di grado superiore a quella sociale nel campo delle relazioni interpersonali e a prescindere dalle libertà fondamentali quali la libertà di credo, di espressione ecc? che non vengono comunque messe in dubbio, oggi.

2. Una organizzazione sociale che compie atti a tutela dei più anche se questo può compromettere qualche libero arbitrio individuale, è così riprovevole e tale da essere equiparata al grande Leviatano, alla Shoah, ecc.? È come se lo stato rinunciasse a condannare gli assassini, a tutela del loro diritto individuale all’omicidio.

Paradosso per paradosso. Capra capra capra … almeno è più onesto!

Gian Luigi Betti 7/9/2021

Comunicato Ansa

Alleghiamo il commento di Gramellini al comunicato dei professori

Massimo Gramellini, “Le invasioni Barberiche”) Secondo il professor Barbero, illustre capofila mediatico del «pronunciamento» di oltre 350 accademici contro il green pass, Dante avrebbe messo i politici nel girone degli ipocriti. In effetti il certificato verde è anche uno strumento di pressione per imporre surrettiziamente l’obbligo del vaccino, perché ti rende la vita talmente difficile e piena di tamponi che alla lunga offrire il braccio alla puntura diventa la scelta più comoda.

Quello che però il professor Barbero si dimentica di aggiungere è che in quel girone il governo farebbe fatica a trovare un posto libero: gli ultimi, Dante li avrà già sicuramente assegnati ai docenti universitari che se ne stavano muti finché il green pass colpiva i ristoratori, ma che si sono improvvisamente svegliati dal sonno degli indignati appena la tempesta ha investito la loro piccola corporazione. Almeno dagli intellettuali ci si aspetterebbe che reagissero ogni qual volta ritengono leso il Bene Comune e non solo quando il sopruso, vero o presunto, lambisce il loro «particulare».

Che poi, a voler essere sofisti, nel ragionamento di Barbero c’è una forma di ipocrisia ancora più sottile. Laddove dice che, se il vaccino fosse dichiaratamente obbligatorio, lui non avrebbe nulla da obiettare. Ma non sarà che lo dice proprio perché sa quanto sia difficile che il vaccino diventi obbligatorio? Altrimenti, se davvero non ha nulla da obiettare, perché non suggerisce ai suoi colleghi sulle barricate di vaccinarsi, così la finiamo qui? ( “Il Caffè” di Massimo Gramellini di martedì 7 settembre 2021. Ansa)

Confusione

E’ difficile definire il periodo storico in cui si vive, perché tutte le definizioni sono, evidentemente, dei limiti. Fissano una serie di attributi che si adattano alle circostanze descritte, e ne escludono altri. Possiamo però trovare un aggettivo che probabilmente si adatta a tutti i tempi che si sono succeduti e che seguiranno, ma che sta a pennello all’attualità: “Confuso”.
Viviamo in un periodo confuso, siamo tutti un po’ (parecchio) confusi. Tranne chi ha certezze granitiche, e con questi è meglio non discutere.

Periodo confuso perché quasi nessuno è più facilmente riconoscibile, confuso perché è difficile districarsi tra le informazioni che arrivano e costruirsi un quadro che risponda in maniera soddisfacente alla realtà. E non è per difetto di informazioni, ma per la gran massa di quelle che arrivano di continuo, e per la difficoltà di distinguere le vere dalle false, e sopratutto dalle verosimili. Come le fotografie, che son sempre più belle delle persone ritratte, sono somiglianti, ma hanno corretto un difetto, tolto una ruga, sfumato un profilo un po’ sporgente. Cosi ci sono notizie che somigliano a quel che è accaduto, non oso dire alla verità, che è sempre percepita diversa da soggetto a soggetto, ma poi fanno intendere tutt’altro di quel che è successo, o sarebbe successo.

Di solito il metodo per districarsi dalle notizie aggiustate, o palesemente inventate, è quello di verificare le informazioni su più fonti, cercando quelle più attendibili. Il che presuppone il tempo, la voglia e la possibilità di farlo, cosa non scontata o almeno non facile per gran parte delle persone.
Personalmente ascolto molto la radio, che non garantisce la verità, ma non ha programmi costruiti per confondere come la televisione, ed ho i miei canali preferiti; in particolare i programmi che danno spazio agli interventi del pubblico, su temi specifici o a commento di informazioni generaliste. Le persone che intervengono non sono un vero campione rappresentativo della popolazione. Rispecchiano solo la parte più interessata alle vicende di cronaca e di politica, sia forse perché più acculturate, sia forse perche già schierate. Sono però uno spaccato attendibile dell’opinione pubblica. Gli argomenti più trattati sono sempre ispirati all’attualità: La pandemia, i diritti di chi si vuol vaccinare e quelli di chi rifiuta, la situazione nei paesi critici, (Afghanistan, Cina, Iran, Israele e Palestina, Libia, Russia, Turchia U.S,A), la politica del governo, Europa non Europa, accogliere/non accogliere i profughi, l’Islam e il terrorismo, il lavoro, lo sport.

Fino a qualche tempo fa era facile classificare gli interventi: quelli più di sinistra, i populoqualunquismi, la destra potabile, la destraccia..
E così gli interventi si dividevano, e ciascuno da casa pensava: ha ragione questo, ha ragione quello, Il conduttore è bravo, il conduttore non capisce nulla.
Era gratificante prendersela, o gioire, con il governo quando chiudeva i porti, e poi quando solidarizzavano con i gilet gialli, o ridere (solo una parte degli ascoltatori) quando in geografia prendevano fischi per fiaschi. Sugli attentati tutti d’accordo, ma non sugli attentatori. Tutto l’Islam è così; no, non è vero, questi sono spostati fanatici; si ma anche i capi moderati non condannano abbastanza. Anche sullo sport ci si poteva sfogare contro la Juventus che vinceva sempre, o gioire (nell’ombra)

Poi è arrivato il Covid che ha preso la scena, e ha cambiato anche il profilo del governo. E così i tempi si sono ancor più confusi.
L’attenzione si è spostata sopratutto sui diritti civili propri del singolo: le libertà personali che soverchiano l’interesse per le questioni sociale e per i diritti della comunità. Assenti sempre dai dibattiti i doveri del singolo e delle istituzioni. E così ci si scalda sull’obbligo del certificato di vaccinazione da esibire, sulla libertà di far quello che si vuole, e si fanno fior di dibattiti se sia più utile far la terza dose o trangugiare una pozione di mandragola, ma non si sono viste manifestazioni, cortei, dibattiti, proteste insomma, sulla questione Afghana, pochi ricordano Ebru Timtik. Anche le sardine son tornate nella scatola
In un Italia che ha un governo paragonabile per composizione solo ai governi dell’immediato dopoguerra sono rappresentate tutte le posizioni politiche, comprese quelle ballerine che saltellano di que e di là. E allora non si può più prendersela con il governo, o con i partiti, perché tutti stanno con tutti. In Toscana si dice che fanno come i ladri di Pisa, che litigano di giorno e rubano insieme di notte. Non so perché siano di Pisa, e non voglio offendere nessuno, anche perché, la mì mamma (come si dice noi), era di Pisa.

Ora non si può prendersela neppure con i banchieri che comandano, perché poi, se questo va via non si sa chi metterci, non si può più prendersela nemmeno troppo con i contrari ai vaccini, perché la comunicazione governativa ha fatto così tanti errori che tanta confusione dipende da questo. Non si può prendersela neppure con Berlusconi, che ora sembra un talebano buono, e poi al governo c’è anche lui, o col Salvini che sta con Bonomi e col sindacato, dice si a tutto , e poi dice no, ma in questo governo ch’è anche lui. La Juventus, se dio vuole, non vince più e allora non si può prendersela nemmeno con lei, e neppure con Renzi, che non conta più un tubo.

E allora dobbiamo ringraziare Donzelli e la Meloni, perché così possiamo infamare loro. E allora, se si ringraziano loro, la confusione è massima.
E bisogna anche sperare che duri, perché potrebbe anche andare peggio, e non solo piovere.

Enrico Tendi, 3/9/2021