Smettiamo di chiamarla destra. È molto peggio

da La Repubblica del 24 settembre riportiamo questa riflessione di Michele Serra

Michele Serra

Forse il problema è che non dovremmo più chiamarla “destra”. È un concetto che evoca ordine e conservazione, borghesia e banche, gerarchia e capitalismo. Nonché un congenito, secolare disprezzo per la demagogia comiziante e per l’idea stessa che “il popolo” possa determinare il corso della storia. La destra era (è sempre stata) quella parte della politica convinta che spettasse alle élite governare e al popolo obbedire. Era Giuseppe Prezzolini quando nel “Manifesto dei conservatori” scriveva, con spregio, che «la destra è la cultura dei libri, la sinistra è la radiolina».

Sembrano passati i secoli, da quella destra. Invece è successo tutto in pochi anni. E tutto è radicalmente cambiato. Qui siamo a Trump che benedice l’assalto al Campidoglio per mano di mattoidi nutriti a complottismo, al mito di Meloni “underdog” uscita dai bassifondi a dispetto dell’establishment e dei “poteri forti”, alla destra cospirativa e paranoide di Steve Bannon, al Salvini che brandisce il rosario davanti alla folla. Siamo ai novax, ai notax, al negazionismo come impostazione culturale di base (tutto è falso, tutto è trama dei potenti contro “il popolo”), alle armi da fuoco brandite da amministratori leghisti (già, la Lega: non è tutto cominciato proprio lì?) che postano schioppi e pistole come simbolo di autodeterminazione, a un popolino frustrato che non riconosce Stato né leggi, e in ogni gerarchia consolidata vede solo arbitrio, frode e sopraffazione. Questa è la vetrina della destra politica odierna a livello mondiale. E non è una vetrina “conservatrice”, tanto meno liberale. È un fenomeno nuovo e ancora senza nome (“populismo” è un termine troppo vago, esiste anche un populismo “di sinistra”. Il fascismo è sicuramente popu-lista, ma non tutti i populismi sono fascisti).

Che poi nel retrobottega lavorino, felici di passare quasi inosservati, vecchi notabili e nuovi contabili del conservatorismo classico, i gattopardi del «tutto cambia perché nulla cambi », è un altro discorso. I Giorgetti, gli Zaia, i Tajani, i Lupi, le vecchie volpi post-democristiane che sicuramente disprezzano il populismo fracassone e contano di poterlo cavalcare fino allo stremo. E ci tocca dire: speriamo che non abbiano sbagliato i loro conti, che il loro cinismo prevalga nel nuovo impasto di potere.

Un pezzo di questo nuovo impasto è vecchio, certo, ed è il fascismo. Quel nazionalismo da strapazzo, quel rancore incurabile che si tramutò in olio di ricino per i professori e che portò un fallito sociale (Mussolini, lui sì un vero “underdog”) a sconvolgere l’Europa portandola alla catastrofe e alla mattanza. Ma un pezzo è invece nuovo, mai visto, impensabile senza i social che organizzano l’odio in forme prima inimmaginabili, che vomitano su chiunque sia sospettabile di avercela fatta, e soprattutto: che della realtà hanno deciso di fare a meno perché è d’impiccio.

Trump, in questo senso, di questa nuova “cosa” è il leader indiscusso. La destra ha sempre amato definirsi “realista”. Oggi abbiamo di fronte, nell’intero Occidente, una destra antirealista. Con la quale sarà difficilissimo fare i conti perché abitiamo nello stesso Paese, non nella stessa realtà.

Nonni, ribellatevi all’estate!

Da Il Vermacoliere rilanciamo l’accorato appello di Claudio Marmugi
della serie: Cose di questi tempi

Boia,io se fossi anzianissimo m’incazzerei di brutto. Già fa cardo. Poi con questa storia della salvaguardia della specie dall’ Ondate di Calore a’ nonnini ni vietano tutto. L’altro giorno ho visto un video di Carlo Conti che sconsigliava a’ vecchi ogni ‘osa. “Non uscite, non muovetevi, chiudete tutto, state ar riparo, respirate con cautela, nascondetevi nell’anfratti, rintanatevi nelle bue”(che mi verrebbe ir dubbio: sono un ottantenne umano maschio o una talpa albina de’ Balcani?). Mancava l’urlo “Scappate, tornano i tedeschi!”e il coprifuoco era servito per-davvero. L’unica cosa concessa in quer comunicato der governo, che ho capito, era “mangiate una mela non troppo matura e un palla di gelato piccina”. Boia, ma è la vecchiaia o ir 41bis — o tutteddue ‘nsieme?

Mi domando, ma allora tutti que’ servizi su’ vecchi che sono andati a vive’ la loro penzione a pallallaria ‘n Portogallo o ‘n CostaRica? Ora, non mi direte mia che fa più cardo in Garfagnana che nell’Algarveo nel-l’Heredia (a du’ passi dar Nicaragua) — che c’è la stessa umidità di quando entra Siffredi ‘n un convento di sòre?!

To sono per la ribellione de’ vecchi, perché io sarò un vecchio di domani, quando a luglio 2050,a sentì l’esperti, ci saranno 78 gradi all’ombra. Nonni, rompete le convenzioni! Vi voglio tutti gnudi a fa’ le spanciate dagli scogli a Calafuria. A prende’ le storcionate all’aperitivo alle cinque der pomeriggio. A ‘mpenna su’ du’rote ir trattore alle 9 e mezzo la mattina. Du’ litri d’acqua ar giorno fatela bé agli struzzi! Ma possibile che se uno é anziano e in salute, d’estate, sia condannato a usci dopo le dieci di sera come i moscerini della frutta? Che poi, ai lavoratori stradali sessantasettenni ni fanno asfalta lo stesso ’l A1 a mezzogiorno e ‘n quarto a Ferragosto,vestiti di plastica dura arancione e tungsteno piombato fosforescente — n’importa unasega ar datore di lavoro se l’Inps non n’ha conteggiato bene i bollini e l’ha lasciati ‘n servizio. C’è qua-cosa che non va ‘n questo mondo(e tanto per comincià le strade d’estate si dovrebbero sistema’ la notte).

L’anziano é ‘n punizione costante. Truffato su internet, derubato ‘n casa, minacciato dar cardo, molestato dall’aria condizionata, sciupato dalla pressione ‘nterna ed esterna, deteriorato per frittomisto, per la televisione deve sta’ tutto ir giorno solo alla televisione a sentì i programmi che ragionano de’ perìoli che ci sono per l’anziani che trasgrediscono le regole della televisione. Che poi, se i truffatori raggirano l’ottuagenari per portanni via l’ori quando sono ‘n casa e te ni dici di stacci per mesi finché ‘un torna ir freschino, semplifichi il lavoro a migliaia di malintenzionati!

Io non dico a’ vecchi d’esse’ imprudenti, ma nemmeno di tumulassi prima der tempo. È inutile cresce’ sennò con l’idea che l’anziano è saggio ed esperto,se poi da luglio a ottobre me lo tratti come ‘n deficiente arruolato a forza ne’ francescani poveri. Si dovrà usà ir buon senso. Andrà distinto caso e caso.

Mi cela vedo sennò la sòcera che denuncia la nòra giovane perché ni porta a pranzo le melanzane alla parmigiana fritte, ‘nvece der gelato, ar grido di “Maladetta! Te mi vuoi ammazzà! Mi vuoi morta per godetti ir mi’ figliolo! Ora lo dio a Carloconti! Ti fo condannà dar Grangiurì della Palombelli di Fòrumme!”.

Poi, nonne, se vi rioverano, pensano v’abbia rincoglionito ir cardo — ‘nvece, vedrai, è la televisione.

À la recherche des tarallouches de Foggià

Alain Elkann, ha scritto tanti libri, ha inondato La Stampa dei suoi articoli, ha generato due gran fidipa ma anche fidipu (per gli amici quei fiòl d’un Elkann), insignito della Légion d’honneur, commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (seppur nastrino semplice) … e poi mi casca su Proust. Seguono articolo e qualche commento su Facebook (Francesca Borrelli, Giorgio Cappozzo, Lorenzo Mei e la Biblioteca delle Oblate di Firenze)

Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”

l’articolo di Alain Elkann a La Repubblica (quotidiano del gruppo Gedi di cui è Presidente il figlio John)

Non pensavo che si potesse ancora adoperare la parola “lanzichenecchi” eppure mi sbagliavo. Qualche giorno fa, dovendo andare da Roma a Foggia, sono salito su una carrozza di prima classe di un treno Italo. Il mio posto assegnato era accanto al finestrino e vicino a me sedeva un ragazzo che avrà avuto 16 o 17 anni. T-shirt bianca con una scritta colorata, pantaloncini corti neri, scarpe da ginnastica di marca Nike, capelli biondi tagliati corti, uno zainetto verde. E l’iPhone con cuffia per ascoltare musica. Intorno a noi, nelle file dietro e in quelle davanti, sedevano altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo: tutti con un iPhone in mano. Alcuni avevano in testa il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi, prevalentemente neri, e avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi. Nessuno portava l’orologio.
Io indossavo, malgrado il caldo, un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera. Avevo una cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica. Stavo anche finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo “Sodoma e Gomorra”. Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica.
Mentre facevo quello, i ragazzi parlavano ad alta voce come fossero i padroni del vagone, assolutamente incuranti di chi stava attorno. Parlavano di calcio, di giocatori, di partite, di squadre, usando parolacce e un linguaggio privo di inibizioni.
Intanto il treno, era arrivato a Caserta. Non sapevo che per andare da Roma a Foggia si dovesse passare da Caserta e poi da Benevento. Pensavo di aver sbagliato treno, ma invece è così. Non ho mai rivolto la parola al mio vicino che o taceva ascoltando musica o si intrometteva con il medesimo linguaggio nella conversazione degli altri ragazzi.
A un certo punto, poco dopo Benevento, mentre erano sempre seduti o quasi sdraiati ai loro posti, ammassando nei vari cestini per la carta straccia lattine di Coca Cola o tè freddo, uno di loro ha detto: «Non è che dobbiamo stare soli di sera: andiamo a cercare ragazze nei night».
Un altro ragazzo più piccolo di statura e con il viso leggermente coperto di acne giovanile ha detto: «Macché night! Credetemi, ho esperienza. Bisogna beccare le ragazze in spiaggia e poi la sera portarle fuori e provarci. La spiaggia è il posto più figo e sicuro per beccare».
Quella conversazione sulle donne da trovare era andata avanti mentre io avevo finito di scrivere sul mio quaderno ed ero immerso nella lettura di Proust. Loro erano totalmente indifferenti a me, alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente, un altro mondo. Io mi sono domandato se era il caso di iniziare a parlare col mio vicino, ma non l’ho fatto. Lui era la maggioranza, uno nessuno centomila, io ero inesistente: qualcuno che usava carta e penna, che leggeva giornali in inglese e poi un libro in francese con la giacca e i pantaloni lunghi.
Per loro chi era costui? Un signore con i capelli bianchi, una sorta di marziano che veniva da un altro mondo e che non li interessava. Pensavano ai fatti loro, parlavano forte, dicevano parolacce, si muovevano in continuazione, ma nessuno degli altri passeggeri diceva nulla.
Avevano paura di quei ragazzi tatuati che venivano dal nord, lo si capiva dall’accento, o erano abituati a quel genere di comportamento?
Arrivando a Foggia, mi sono alzato, ho preso la mia cartella. Nessuno mi ha salutato, forse perché non mi vedevano e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani “lanzichenecchi” senza nome.
Per loro chi era costui? Un signore con i capelli bianchi, un marziano venuto da un altro mondo

Francesca Borrelli su Facebook

Caro direttore, mi trovo in vacanza fra Roma e Foggia e forse perciò mi ha tanto colpito il bel reportage di Alain Elkann; ma sul momento ho lasciato cadere l’opportunità di solidarizzare con le sue rimostranze; anche sul lino di oggi che, lo so bene, non si sgualcisce più come quello di una volta.

Oggi però l’articolo – sulla Repubblica – del direttore dell’Istituto di cultura di New York, nonché professore emerito all’Università della Pennsylvania Fabio Finotti, mi ha dato forza e vorrei fare mie le sue parole. Perché mi sembra valga la pena, in questo decadimento di valori che ci circonda, fare eco a chi si spende per dare alle cose il nome che meritano.

«La letteratura – si domanda Finotti – può dunque ancora scandalizzare, muovere le coscienze»… La letteratura? Mi sono detta: ne parlerà dopo; ma no! Si riferiva a Elkann, e già questo è un contributo a situare il protagonista nel suo giusto ambito. Me ne sono rallegrata perché in questi giorni volgari social animati dai soliti lanzichenecchi mi sembrava lo mettessero in dubbio. E poi specifica, Finotti: «chi dice Io in un racconto non è lo stesso di chi dice Io nella realtà».

E dire che, in un primo momento, non avevo capito si trattasse di una finzione, credevo che Elkann parlasse sul serio. Non a caso il mestiere di critico ha procurato a Finotti una cattedra negli Stati Uniti. Sarà – dice lui – l’ABC della analisi letteraria, ma anche il fatto che Elkann si incarnasse tanto nell’Io che scrive quanto nei suoi antagonisti (letterari, si capisce) ovvero nei lanzichenecchi, non lo avevo afferrato. Eppure credevo di avere letto anch’io Bachtin (che però forse non è il Bakhtin di cui parla lui), ma se pure lo avessi letto di certo lo avrò malcompreso e infatti a me la cattedra negli Stati Uniti non l’hanno data.

Quel che però mi ha colpito al cuore, e perciò voglio rendervene parte, è il senso di disordine e sciatteria che Finotti ha scovato nel vestito «molto stazzonato di lino blu» del nostro protagonista: perché è evidente che lì è mancata una mamma, e anche le donne di servizio non stirano più come quelle di una volta. Ma la malinconia derivata dal fatto che lo scrittore (sempre Elkann) si affida non a mezzi elettronici, bensì a una passata di moda penna stilografica? Vogliamo parlarne? A me ha strappato un singulto. Quanto mai azzeccata mi è sembrata, dunque, la similitudine fra Elkann e lo scrittore crepuscolare, da Thomas Mann a Bassani, «uomini che nascono e muoiono senza che il mondo si accorga di loro, se non per disturbarli, per distrarli dal loro destino».

Nessuno, prima d’ora, infatti, conosceva il nome di Elkann, un uomo qualunque, oserei dire, uno di noi, nella cartella di cuoio del quale si nascondevano liriche traslazioni di una realtà in cui io è un altro, a rischio di passare inosservate. Qui, nel vortice delle allegorie che avvicinano lo scrittore Elkann alle vette della letteratura mondiale, anche la prosa di Finotti si impenna a rasentare il culmine della verità.

Concordo dunque sulle conclusioni, passando per l’ovvia evidenza che chi ha deciso, in questa chiassosa gazzarra dei social, di schierarsi con i giovani (sempre lanzichenecchi) lo ha fatto per una scelta di campo intellettuale e non sociale. Ben detto. Non resta che unirsi alle amare conclusioni: per questa volta è andata bene, e ancorché ignorato, lo scrittore Elkann se ne è tornato a casa senza nemmeno essere stato aggredito: «perché ha osato essere diverso dagli altri». Lui e la sua stilografica. Ma è stato un caso e dunque è vero: «Meglio che non ci provi più».

Giorgio Cappozzo su Facebook

È ARRIVATA LA RISPOSTA DI UNO DEI RAGAZZI DEL VAGONE DI ALAIN ELKANN

– Qualche giorno fa io, la Luciana, il Michele e il Filippo stavamo sul treno per Foggia, che peraltro aveva già accumulato tipo 50 minuti di ritardo per un guasto alla linea elettrica. Vabbè, insomma, se ricordo bene parlavamo di calcio perché il Michele parla solo di calcio e di figa e siccome aveva parlato di figa fino a Benevento nell’ultimo tratto aveva deciso di parlare di calcio. Io e la Luciana partecipavamo ridendo molto, mentre il Filippo con le cuffiette ascoltava tutto un flow che gli ha spedito la Barbara che poi non è partita con noi. Comunque stavamo così, a farci i cazzi nostri quando un tizio, con pantaloni lunghi e una giacca blu che ci siamo detti ma guarda quello, qui fanno 50 gradi e lui non suda, sarà un replicante e giù a ridere, insomma questo tizio comincia a dire delle parole in francese, così, ad alta voce. Teneva un libro aperto (in un’ora non l’ho mai visto girare la pagina), guardava fuori dal finestrino come a contemplare la vastità dell’eccetera eccetera e poi diceva cose in francese come se avesse scoperto la ruota e sorrideva, ci guardava, diceva una parola in francese e sorrideva, ma non cambiava pagina. Poi ci siamo rimessi a parlare di figa e di come avremmo potuto rimorchiare in spiaggia, cose così, e il Michele ha detto che conosce un locale fuori Foggia che si chiama il Night, un nome di merda che manco mio nonno, però vabbè si chiama così, e la Luciana, forse per distrarci dal monotema sulla figa ha indicato il signore di lino che in quel momento stava tirando fuori da una borsa di pelle tipo quella del mio pediatra un sacco di quotidiani di carta, in varie lingue diverse. Li tirava fuori dalla borsa e ci guardava, ci guardava e sorrideva, li sfogliava ci guardava e sorrideva, tanto che la Luciana stava per dirgli ma che cazzo guardi? invece il Filippo l’ha bloccata e ha detto guarda che penna figa che c’ha, quella è una stilografica. Che a noi poi quando mai c’è fregato delle stilografiche, invece il Filippo ha la passione per queste cose antiche e ha detto guardate che quella penna costa più di tutto quello che spenderemo in vodka lemon questi 10 giorni in Puglia. Il signore in lino deve aver capito che il Filippo apprezzava perché si è messo a scrivere su un quadernino tipo diario e darei il mio iphone per sapere cosa cazzo c’ha scritto, forse ha fatto solo dei disegnini, oppure avrà scritto la parola francese, o il mattino ha l’oro in bocca come il Nicholson in Shining quando impazzisce. Comunque, troppo divertente, mentre pensavo a queste cose, e la Luciana si era già stufata, il Michele aveva ripreso a parlare di rigori e il Filippo a riascoltare la musica, il signore in lino si è alzato per scendere, si è fermato a un metro da noi guardandoci come a dire non mi riconoscerte? non lo so, mi sono fatto questa idea, aveva l’aria di chi voleva essere riconosciuto, celebrato e invece noi ci siamo fatti i cazzi nostri e lui prima ha detto una cosa tipo “lanzichenecchi” che la Luciana dice che è una parola che si è inventato, e poi è uscito dal vagone anche un po’ in fretta. Credo che abbia anche scureggiato, perché ho sentito come un rumore di porta che scricchiola ma nel vagone le porte sono solo a scorrimento, dunque, dai, era una scureggia.

Lorenzo Mei su Facebook

L’altra faccia di Alain.
L’altro giorno con alcuni amici ho preso un treno per Foggia. Non c’era posto in seconda classe e quindi abbiamo dovuto spendere un sacco di soldi per prendere i biglietti in prima. L’aria condizionata non funzionava bene, ma a un certo punto è entrato un vecchio vestito come Fantozzi e Filini quando arrivano a Ortisei. Infatti puzzava di sudore a un livello immondo. Volevamo dirglielo, ma non ce la siamo sentita di parlargli per non offenderlo. A un certo punto ha tirato fuori da una borsa di pelle alcuni giornali, un vecchio diario tutto sciupato e una penna. Appena ha tolto il tappo è uscito mezzo litro di inchiostro, al che il vecchio ha cominciato a gridare cose come “Pev mille balene”, “Accidempolina al mondo” o “Pevdincibacco”. Alla fine, dopo aver scritto alcune righe in un’ortografia imbarazzante, ma anche in questo caso non ce la siamo sentita di dire nulla, si è messo a leggere un libro molto grosso, ma restava sempre sulla stessa pagina per ore, ricominciando quelle imprecazioni strane. Il massimo lo ha raggiunto a Caserta quando ha chiamato il controllore pretendendo che il treno non si fermasse perché non ne vedeva l’utilità, e dicendo di voler interloquire direttamente con il fuochista. Mentre stavamo lì a parlare tra noi o ad ascoltare alcuni podcast, lo vedevamo osservarci in modo strano, specie quando abbiamo parlato di Because the night di Patti Smith e di come la generazione del CBGB abbia influenzato il punk. Sì è addormentato, ma quando siamo arrivati a Foggia si è svegliato di soprassalto ed è corso via senza salutare nessuno. Non abbiamo fatto in tempo a dirgli che aveva preso la borsa del capotreno al posto della sua. L’abbiamo aperta, c’erano un calamaio, un orologio a cipolla e una boccetta di metallo con scritto “cordiale”. Se qualcuno lo conosce gli dica di passare agli oggetti smarriti.

Biblioteca delle Oblate di Firenze su facebook

Per leggere “𝐋𝐚 𝐑𝐞𝐜𝐡𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞” di Proust in totale tranquillità non salire 𝘀𝘂𝗹 𝘁𝗿𝗲𝗻𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗰𝗹𝗮𝘀𝘀𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝗙𝗼𝗴𝗴𝗶𝗮, rischiando di incontrare avventori chiassosi, vieni invece direttamente alla Biblioteca delle Oblate.
Ambiente confortevole, vista sulla Cupola di Brunelleschi, avventori silenziosi con orologio al polso e occasionalmente anche penne stilografiche. 𝐆𝐚𝐫𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚 𝐋𝐚𝐧𝐳𝐢𝐜𝐡𝐞𝐧𝐞𝐜𝐜𝐡𝐢 𝐟𝐫𝐞𝐞.
Se invece ami leggere in vacanza, sul treno o sull’aereo a sprezzo di possibili disturbatori, possiamo prestarti lo stesso “La Recherche”, anche in lingua originale, per poter portare ovunque con te il piacere di leggere le vicende evocative di Marcel e Albertine.
Città di Firenze – Città di Firenze Cultura

Fasci di merda

Ho cercato un titolo meno crudo ma non ci sono riuscito

Commento redazionale

La seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato Ignazio La Russa che colleziona in casa il busto di Mussolini ed altri cimeli del fascismo e fa il saluto al grido di “presente” (per rispetto del camerata defunto), Ministri che imperversano contro i poveri, i profughi … contro tutti … Se una squadraccia insiste… di chi sarà la colpa?

La lettera dell’ANPI

Alla cortese attenzione del Questore di Firenze, dott. Maurizio Auriemma.
Per conoscenza al Sindaco di Firenze e della città metropolitana, dott. Dario Nardella.
Salve,
nei giorni appena trascorsi, con preoccupante coincidenza di tempi, sono avvenuti atti vandalici contro luoghi e simboli della lotta di Liberazione, sul territorio della nostra città metropolitana.
A Valibona, in comune di Calenzano, ignoti hanno imbrattato con vernice il fienile del borgo. Si tratta di un luogo di particolare rilevanza storica, perché ha visto svolgersi la prima battaglia aperta fra partigiani e militi della RSI. Oggi ospita una foresteria ed un museo dedicato a quell’episodio ed è meta ogni anno di sentite celebrazioni.
Le scritte sono esplicitamente apologetiche del fascismo.
A Firenze, nel giardino adiacente al Torrino di Santa Rosa, è stata distrutta la lapide di intitolazione del giardino stesso, dedicata a “Potente”, ovvero il comandante partigiano Aligi Barducci, il più importante fra gli attori della Liberazione della nostra città.
La lapide è stata letteralmente frantumata e non è stato possibile neppure recuperarne tutti i pezzi.
Alleghiamo foto dei due fatti.
Signor Questore, vogliamo con questo rappresentarle la preoccupazione per eventi che avvengono ad un mese di distanza dall’inizio delle celebrazioni per la Liberazione di Firenze e a due mesi dall’ottantesimo dell’inizio della lotta resistenziale. Auspichiamo che, con la collaborazione di tutti gli organismi dello Stato, il clima possa essere sereno e di normalità democratica.
Nel ringraziarla le porgiamo i nostri saluti,

Vania Bagni, presidente Comitato provinciale ANPI Firenze