È davvero stupefacente quanto Trump sia fortunato. È talmente fortunato che potrebbe essere usato come prova della non esistenza di dio, o perlomeno della non esistenza di un dio buono, mentre sarebbe un’ottima prova dell’esistenza di un dio bastardo (attenzione: qui “dio bastardo” non è una bestemmia, dal momento che non mi sto riferendo al dio cristiano, che è buono e inesistente, ma a un ipotetico dio bastardo di mia invenzione che invece potrebbe esistere). È da un bel po’ che ho notato che a quest’uomo gira sempre tutto nel verso giusto e ormai mi ero più o meno assuefatto a questa curiosa peculiarità del nostro universo, ma quest’ultima storia dell’attentato fallito è riuscita comunque a stupirmi. Mi sono detto: “ma com’è possibile? Ma cos’ha fatto di male la specie umana per meritarsi la longevità di Trump e la morte di Schubert a 31 anni?”.
Ora farò un elenco di tutte le fortune di Trump, perché le voglio vedere tutte scritte e ordinate una dietro l’altra. Cioè, tutte… diciamo le più eclatanti. A cosa serve? Boh? Forse a consolarci insieme (io e te, dico) per quanto siamo sfortunati che Trump sia così fortunato, un po’ come dice il famoso adagio “mal comune mezzo eccetera”, perché l’evento “Trump Presidente” è di sicuro un “mal comune”, un gigantesco “mal comune”, comune anche a chi lo vota, benché sia troppo in estasi per rendersene conto, e comune anche a chi non vive negli Stati Uniti, visto che gli Stati Uniti non sono il Portogallo ma sono, appunto, gli Stati Uniti; un male molto probabilmente comune anche allo stesso Trump, essendo quest’uomo uno di quegli infelici che più ottengono ciò che vogliono più sentono la mancanza di ciò che ancora non hanno, autoannientandosi man mano che si autoaffermano, un po’ come fanno gli incendi. Chissà, forse tutto questo poteva essere evitato se i suoi genitori lo avessero mandato ad asfaltare le strade quando aveva otto anni. Tutti sempre a parlar male del lavoro minorile e poi i risultati sono questi.
La prima grande fortuna di Trump è che i suoi elettori lo amano a prescindere, esattamente come fanno gli adepti di una setta con il loro guru. Mentre l’elettore comune è normalmente ipercritico e diffidente nei confronti dei politici, sempre accusati di mentire, rubare e imbrogliare anche quando non c’è nessuna base per sostenerlo, Trump è visto come una specie di novello Gesù Cristo: può fare qualsiasi cosa senza perdere mai l’amore dei suoi fan, anche mentire (condanna di 83,3 milioni di dollari per diffamazione), rubare (condanna di 354 milioni di dollari per frode) e imbrogliare (colpevole di avere falsificato i conti della campagna elettorale 2016; la sentenza non è stata ancora scritta, ma di questo dirò dopo perché riguarda un’altra fortuna di Trump, non questa qui).
Questo amore incondizionato non è una fortuna specifica di Trump ma è comune a tutti i populisti cosiddetti carismatici (dove con “carismatico” credo si intenda “psicopatico”), ciononostante ho voluto menzionarla perché è una fortuna molto importante: non solo gli permette di conservare il suo consenso elettorale sempre e comunque, anche nel caso venisse ripreso mentre sodomizza un maiale (è una citazione di Black Mirror, ok?), ma gli permette anche di eliminare senza sforzo ogni dissenso interno al partito. Chiunque osi criticarlo ha poi due possibilità: 1) o si affretta a rimediare trasformandosi in un impareggiabile leccaculo (lo hanno fatto Ted Cruz, Marco Rubio, Lindsey Graham e recentemente James Vance, il futuro vice Presidente degli Stati Uniti che in passato ha definito Trump “cynical asshole” e “America’s Hitler”, ma forse erano complimenti); 2) o si cerca un altro mestiere visto che nessuno lo voterà mai più (è successo per esempio a Paul Ryan, Liz Cheney o, il caso più divertente di tutti, all’ex vice Presidente Mike Pence, quando la folla del 6 gennaio voleva impiccarlo davanti al Campidoglio senza però riuscire a catturarlo. Speriamo che con Vance vada meglio).
Ancora oggi in Italia c’è gente che ama Mussolini nonostante sia morto da un pezzo e sia riconosciuto da tutti i libri di Storia come uno dei peggiori criminali del Novecento, figuriamoci se non può amare incondizionatamente uno che è ancora vivo e non ha ancora ucciso nessuno. “Vivo” e “non ha ancora ucciso nessuno” è quanto basta a Trump per meritarsi l’entusiasmo del suo elettorato.
Una seconda fortuna di Trump è la distribuzione dell’elettorato repubblicano rispetto a quello democratico. Se nelle elezioni americane vincesse semplicemente chi prende più voti, Trump avrebbe perso già nel 2016, quando era ancora relativamente innocuo, avendo preso il 46.1% dei voti contro il 48.2% di Hillary Clinton, ma per sua grande fortuna negli Stati Uniti non vince chi prende più voti, ma chi ottiene più grandi elettori. Come probabilmente saprà chi sta leggendo questo post, ogni Stato mette in palio un certo numero di grandi elettori e per aggiudicarseli basta un solo voto in più dell’avversario: vincere in uno Stato con il 51% o il 100% è la stessa identica cosa, il numero di grandi elettori che ti aggiudichi è sempre quello, l’unica differenza è che nel secondo caso metà dei voti sono sprecati. Siccome gli elettori repubblicani sono distribuiti più uniformemente fra i vari Stati rispetto agli elettori democratici, la conseguenza è che vanno sprecati molti più voti democratici che repubblicani.
È sempre stato così? No, però adesso, proprio in questi anni fantastici e pieni di sorprese, il caso ha voluto che i democratici abitino praticamente tutti in California e a New York, mentre i repubblicani li trovi un po’ dappertutto, come le zanzare.
Grazie a questo regalo della buona sorte, un candidato democratico può vincere le elezioni presidenziali solo se le stravince, come ha fatto Biden nel 2020 (51.3% – 46.8%), se invece le vince di poco, ha perso. Questo non sarebbe un problema così grave se il candidato repubblicano fosse un normale politico conservatore e non un criminale psicopatico amico di Putin. Non è un’iperbole, eh, è la realtà oggettiva: è un criminale perché è stato condannato in un processo penale (vedi sopra); è amico di Putin perché lo dice lui stesso; è psicopatico perché questa parola descrive in modo preciso il suo comportamento. Copio da Wikipedia:
«Gli psicopatici non provano rimorso per le proprie azioni. Se causano danni ad altri, non provano vergogna né senso di colpa, ma incolpano qualcun altro.
Non provano alcuna emozione verso gli altri in generale, dimostrando insensibilità e disprezzo.
Possono avere un fascino superficiale e si esprimono senza preoccuparsi della realtà dei fatti.
Tendono a essere impulsivi e irresponsabili.
Mancando la coscienza e l’empatia, fanno ciò che vogliono e a proprio piacere, violando le norme sociali senza alcuna vergogna o rimorso; ciò che manca, in altre parole, è la reale qualità che permette a un essere umano di distinguersi dall’animale».
Perfetto, no? Manca solo la grande passione per le pettinature sceme.
Terza fortuna di Trump: i senatori. Siccome gli Stati Uniti sono una repubblica federale, gli autori della Costituzione hanno pensato di assegnare lo stesso numero di senatori (due) a ogni Stato, indipendentemente da quanto grande o piccola sia la sua popolazione, in modo da impedire che gli Stati più piccoli finiscano per non contare niente. In questo modo succede che la California (40 milioni di abitanti) può eleggere due senatori esattamente come il Wyoming (0.5 milioni), il Nord Dakota (0.7 milioni), il Sud Dakota (0.9 milioni) e tutti gli altri pezzi semideserti di campagna americana. Sembra assurdo, vero? Ma questi famosi padri costituenti non erano scemi, erano solo nel 1787 e a quel tempo Los Angeles era poco più grande del mio soggiorno.
Come succede un po’ in tutto il mondo, i conservatori che odiano gli immigrati vivono principalmente nelle campagne, mentre i progressisti stanno nelle grandi città a bere margarita e fantasticare sull’innata accoglienza della gente di campagna non ancora corrotta dal capitalismo, con il risultato che il Senato degli Stati Uniti, a differenza del Congresso, ha una sovrarappresentanza di repubblicani. Questa fortunata coincidenza fra decisioni settecentesche e distribuzioni umane moderne, ha fatto sì che il Senato abbia assolto Trump dalle accuse di impeachment sia nel 2020 (la famosa “telefonata perfetta” in cui ricattava Zelensky) sia nel 2021 (il famoso colpo di stato passivo-aggressivo).
Bastavano cinque o sei Dakota in meno e Trump sarebbe stato condannato.
Poi c’è la Corte Suprema. Quanti giudici della Corte Suprema ha nominato Obama in otto anni di presidenza? Due. Quanti Trump in quattro anni? Tre. Non è fortuna questa? Un giudice obamiano ogni quattro anni contro un giudice trumpiano ogni anno e tre mesi circa. L’ultima giudice è stata nominata in sostituzione di Ruth Bader Ginsburg morta il 18 settembre 2020, giusto due settimane prima delle elezioni (due settimane, non so se mi spiego), neanche avesse un timer interno. Tutti e tre i giudici confermati senza problemi dal Senato fortunato appena menzionato.
Grazie a questa Corte Suprema così infarcita di nomine trumpiane (“only the best people”), Trump ha avuto in regalo il rinvio del suo processo per l’insurrezione del 6 gennaio, l’immunità parziale per tutti i crimini vari ed eventuali commessi mentre era (e sarà) Presidente e, come conseguenza di questo, il rinvio della sentenza di cui sopra che sarebbe dovuta arrivare l’11 luglio, appena prima del congresso repubblicano, con l’ipotesi non così improbabile che Trump avrebbe dovuto collegarsi in remoto da una comoda cella di Rikers Island).
Ma io dico, questo stronzo non poteva limitarsi a vincere il SuperEnalotto come fanno tutti?
Ma non è finita. Altro colpo di fortuna: il tragico rincoglionimento di Biden. In teoria poteva rincoglionirsi lui, no? Non è poi così più giovane, ci sono solo tre anni di differenza. No, chi si rincoglionisce? L’altro.
Arrivati a questo punto, chiunque sarebbe soddisfatto della sua opera, ma il Fato che governa questo universo di dolore e disperazione non è un tipo che sta con le mani in mano a lungo e così arriviamo all’attentato del 13 luglio (13 luglio 2024, per quelli che leggeranno questo post nel futuro, sempre che ci sarà un futuro): un tizio, per motivi non ancora chiari visto che era un elettore registrato repubblicano, decide di assassinare Trump durante un comizio e lo manca di un centimetro: un solo minuscolo centimetro di distanza tra la fine di Trump e l’apoteosi di Trump eroe dell’universo con tutti che lo adorano e i nemici che si scusano e si inginocchiano vergognosi al suo cospetto chiamandolo Santo; in mezzo il nulla, solo queste due possibilità: o la fine o l’apoteosi.
C’è questo vecchio film di Cronenberg, “La zona morta”, tratto da un romanzo di Stephen King e ora te lo spoilererò. È la storia di Christopher Walken che per qualche motivo ha questo potere soprannaturale di vedere il futuro delle persone che tocca. Il potere si rivela ben presto una specie di maledizione o qualcosa del genere ma non ricordo bene perché. Quello che mi ricordo è che un giorno Christopher Walken va a un comizio di un candidato repubblicano (credo fosse repubblicano, ma potrei sbagliare) e stringendogli la mano vede che in un futuro non lontano diventerà Presidente degli Stati Uniti e fra una grappa e l’altra scatenerà una guerra nucleare planetaria (il dettaglio delle grappe potrebbe essere apocrifo). Allora cosa fa Christopher? Quello che farebbe una qualsiasi persona normale: decide di assassinare quel figlio di puttana. Si organizza, compra un fucile, si allena a sparare (non abbastanza) e il giorno in cui è previsto un comizio di questo futuro Presidente si apposta in un angolo, gli spara e lo manca. Esattamente come è successo il 13 luglio: il criminale si salva e il povero attentatore viene ammazzato dalla sicurezza. Ma è a questo punto della storia che interviene il genio di Stephen King e il repubblicano, impaurito dallo sparo, prende un neonato che passava di lì per caso e lo usa come scudo umano per proteggersi. Questa sarà la foto che passerà alla Storia: un criminale vigliacco che si fa scudo con un neonato, non un criminale vigliacco che alza il pugno in segno di sfida mentre una bandiera degli Stati Uniti sventola eroicamente sopra la sua testa.
Christopher morente riesce a toccare un’ultima volta il candidato repubblicano e vede che la sua carriera è finita, stroncata da quella foto, e tutto finisce bene con il criminale che si suiciderà e Christopher che muore felice: anche se tutti pensano che sia lui il vero criminale, in realtà lui sa di avere salvato il mondo.
Bello, no?
Peccato che la Storia di questo pianeta non sia scritta da un autore di romanzi horror.