ovvero, alla ricerca del potere perduto …
Elly Schlein, nel suo libro La nostra parte pubblicato nel 2022 all’indomani della sua elezione a Segretaria del PD, affronta il tema del patriarcato dedicandogliun capitolodi venti pagine.
Di questo complesso fenomeno sociale e culturale ripercorre alcune tappe recenti, remote e personali in varie occasioni, come le proteste femministe contro Donald Trump allora al suo primo mandato presidenziale, contro le discriminazioni delle minoranze di diverso orientamento sessuale, per poi risalire al colonialismo e a tutte le forme di oppressione e di emarginazione. C’è un filo nero – scrive Schlein – che unisce tutti i tipi di violenza e porta il marchio del patriarcato. Quindi, il patriarcato, non si limita solo al dominio dell’uomo sulla donna, ma si estende a tutte le realtà sociali e culturali mirando al controllo del pianeta e di tutto ciò che contiene: il clima, la natura e tutti gli esseri viventi. È, la sua, una visione totalitaria che ci destina a sottostare a schemi e stereotipi che dovrebbero essere caduti in disuso, ma che purtroppo sono ancora tremendamente presenti. Un potere, il patriarcato, che tende a plasmare la società per renderla conforme ai propri modelli in funzione dei propri interessi.
Nemico di tutte le note dissonanti , di tutte le variabili impazzite sfuggite al suo sistema di controllo. È di questi giorni la polemica nata dalle incaute dichiarazioni del ministro Valditara che, per difendere il patriarcato dalle accuse di essere responsabile del perdurare della violenza sulle donne, annuncia il suo decesso avvenuto nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia con la quale viene sancita la parità fra i coniugi. Se ne deduce che, se il patriarcato è morto, non può essere colpevole, in compenso, i veri colpevoli degli stupri e dei femminicidi sono i migranti che sono – purtroppo – ancora vivi (almeno quelli scampati ai naufragi), invasori e portatori di devianza. E non importa se i dati statistici dicono tutto il contrario: la verità non è quella dei fatti reali, ma quella dei fatti percepiti da cittadini sempre più vittime di una disinformazione mediatica condotta spregiudicatamente da chi ci governa e che genera uno smarrimento e una disaffezione alla politica il cui effetto più grave è l’astensionismo in proporzioni massicce. Il patriarcato è sopravvissuto al proprio decesso grazie alla sottovalutazione del pericolo dell’eterno ritorno dell’uguale ad opera di un contesto socioculturale e politico scarsamente motivato a fare la stecca nel coro, propenso più a minimizzare che a denunciare i rischi che correva – e tutt’ora corre – la nostra democrazia. Esso perdura con buona pace di Valditara e di Cacciari il quale pretende di stare dalla parte giusta dicendo molte cose sbagliate. E perdura, non malgrado l’emancipazione femminile, ma proprio a causa di essa. Non basta una legge che cancella il patriarcato per cancellarlo da un comune sentire radicatosi in secoli di assoggettamento culturale e sociale della donna e non solo, da parte del potere maschile. Un grande lavoro su se stesse attende le donne se vogliono davvero liberarsi dai cascami di una cultura alla quale pagano non solo il prezzo salato della discriminazione, ma anche quello di una complicità in parte inconsapevole. Compito del PD, che si definisce, non a caso, democratico, è smascherare l’inganno patriarcale portatore di una visione che stride fortemente con una realtà complessa e difficile che richiede ben altre risposte che il ripristino di un ordine sociale pericoloso e del tutto inadeguato a risolvere i problemi dell’Italia, dell’Europa e del mondo.
Anna Maria Guideri, 1 dicembre 2024
Perché il “patriarcato” è uno strumento del capitale di Martino Dettori
Fonte: Martino Dettori: Perché il “patriarcato” è uno strumento del capitale
Come insegna la migliore strategia di guerra, per ottenere una vittoria, è necessario conoscere i tuoi nemici e dividerli, amplificando i punti di discordia e rendendo ininfluenti i punti di contatto
Da un po’ di tempo, sulla scia di certi fatti di cronaca nera, si assiste a un movimento di opinioni che vuole dipingere l’uomo (soprattutto quello europeo, caucasico e bianco) come soggetto tendenzialmente violento, meschino e possessivo nei confronti della donna. Una tendenza questa che viene impropriamente battezzata “pratriarcato”.
Impropriamente, perché il patriarcato è una struttura sociale di tipo famigliare nella quale il cosiddetto “patriarca” esercita la propria autorità sulla moglie, sui figli, sui nipoti, sulle nuore e persino sui pro-nipoti e le loro mogli. Ed è una struttura famigliare arcaica che, qui in Italia, è morta e sepolta da almeno cinquant’anni.
Definire, dunque, “patriarcale” l’atteggiamento violento, meschino e possessivo di un uomo nei confronti della propria moglie o della compagna, non ha senso alcuno, se non per rendere generalizzati certi fenomeni criminali e/o socialmente violenti di natura marginale, attribuendoli pregiudizialmente a una categoria generale: i maschi.
Ne consegue che se, nella generalità dei casi, il rapporto uomo-donna è un rapporto sano ed equilibrato (ben lontano dai fatti di cronaca nera), con la storia del patriarcato, il rapporto malato uomo-donna — l’eccezione appunto — diventa il caso generale dal quale trarre la regola secondo la quale l’uomo è intrinsecamente violento, e come tale necessita di essere (ri)educato.
Proprio per questa ragione, iniziano ad affacciarsi, nel panorama delle opinioni, idee e tesi che vorrebbero che i maschi, fin dalla tenera età, siano educati a reprimere la loro natura maschile. L’uomo deve smettere di fare l’uomo, deve cessare di essere maschio e virile, perché essere maschio e virile significa automaticamente essere violenti e possessivi nei confronti della femmina. In altre parole, l’uomo deve femminilizzarsi.
Lo scopo ultimo, dunque, è la femminilizzazione del maschio, che non è altro che un programma politico bell’e buono che va avanti da un pezzo, soprattutto qui in Europa e più generalmente nell’Occidente.
Per quanto ci si sforzi di trovare ragioni eminentemente sociologiche al fenomeno, la vera chiave di lettura è di natura economica e politica: il dominio del capitale; dominio che richiede la distruzione dei diritti sociali attraverso la demolizione della famigliare nucleare e dell’istituzione del matrimonio.
Il patriarcato e l’uso strategico di alcuni neologismi categorizzanti (es. il termine “femminicidio” ), hanno lo scopo di alimentare il conflitto orizzontale uomo-donna e minare dalle sue fondamenta la famiglia naturale. Che, come tutti sappiamo, è il nucleo fondamentale di una società umana stabile, sana, e capace di produrre sufficienti anticorpi contro gli abusi del potere capitalistico e le sue storture ideologiche.
Uomini soli e demascolinizzati, insicuri, isterici e incapaci di relazionarsi con il sesso opposto, e per contro, donne sole, depresse, e anch’esse incapaci di relazionarsi con il sesso opposto, sono l’humus sociale ottimale per costruire una società distopica, nichilista, incline all’indifferenza e divisa davanti al dominio del capitale. Una simile società è incapace di costruire relazioni sociali sane e stabili, poiché tutto ciò che ruota intorno alla relazione tra un uomo e una donna (da millenni regolata dalle leggi naturali), può essere considerato instabile, occasionale e foriero di potenziale violenza e prevaricazione del maschio sulla femmina (chissà perché, mai il contrario).
Una siffatta società finisce per impedire la coesione sociale e l’acquisizione della coscienza di classe (che passa anche attraverso la solidarietà tra i sessi), necessaria per combattere la prevaricazione del capitale sul lavoro. E non è un caso che il declino delle forze politiche proletarie in favore di quelle liberiste (libertarie e liberali), è iniziato esattamente quando i diritti cosmetici si sono imposti con forza nell’agenda politica, in sostituzione dei diritti sociali.
Per concludere, denunciare il supposto “patriarcato” non migliorerà di certo il rapporto uomo-donna, né farà diminuire i casi di autentica violenza, che sono sempre il frutto del vissuto personale di chi la compie. Piuttosto, contribuirà a rendere la società umana moderna ancora più distopica, più nichilista, più sterile (il calo demografico occidentale è terrificante!), e peggio, rafforzerà la presa di potere delle élite capitalistiche e transumaniste sulla società. Perché, come insegna la migliore strategia di guerra, per ottenere una vittoria, è necessario (tra le altre cose) conoscere i tuoi nemici e dividerli, amplificando i punti di discordia e rendendo ininfluenti i punti di contatto. Il capitalista lo ha capito perfettamente. Il proletario no, perché è impegnato a denunciare il patriarcato.
PATRIARCATO 2 di Anna Maria Guideri
(alcune osservazioni in merito all’articolo di Martino Dettori)
Se ho ben capito, il Patriarcato, inteso in senso tradizionale, dove il pater familias esercitava un potere indiscusso e dispotico su tutti i membri, è finito negli anni ’50 e l’uso che se ne fa oggi per attribuirgli la colpa della violenza contro le donne è un falso storico ed un abuso strumentale. La violenza attuale attiene alla cronaca nera dovuta ai crimini commessi da alcuni maschi fuori di testa – ma che non sono la norma – le cui cause vanno ricercate nello smarrimento psicologico e nella confusione di valori generato non dal patriarcato – che non c’è più – ma dal capitalismo.
Osservo che il Patriarcato di un tempo ed il capitalismo passato e attuale hanno in comune il potere economico che crea una stretta parentela fra i due poteri e ne determina la continuità, se pure in forme e modalità diverse, perpetuando la conflittualità fra i generi e la storica subalternità della donna al potere maschile. Se ne deduce che le responsabilità della cultura patriarcale nella perpetuazione del modello maschilista non costituiscono una distrazione di massa dal vero responsabile – il capitalismo – ma l’individuazione della comune radice economica che trae dalla discriminazione sessuale un tornaconto socioeconomico e politico molto rilevante.
Attribuire tutte le colpe al capitalismo che risulterebbe – lui solo – il vero nemico delle donne rischia di deresponsabilizzare i soggetti in carne ed ossa del conflitto di genere, gli uomini e le donne – entrambi diversamente vittime, ma anche diversamente responsabili di una cultura patriarcal-capitalista che tende a dividere per imperare.
L’analisi politica sul capitalismo è senz’altro fondata, ma incompleta se la si separa dalla matrice patriarcale e risulta poco utile ad affrontare pragmaticamente uno dei problemi più drammatici del nostro tempo. Si rischia di demandare tutte le responsabilità ad una entità immanente – il capitalismo – poco modificabile allo stato attuale, generando un senso di impotenza e di resa. Insomma se per risolvere il problema della violenza sulle donne si aspetta di avere sconfitto il capitalismo, campa cavallo! Il problema del maschilismo non esisterebbe se non in casi isolati; non sarebbe un fenomeno riconducibile alla sopravvivenza, sotto mentite spoglie, della cultura patriarcale e quindi ci si può far poco. Tutto sommato, al netto dei fatti di cronaca nera – anche se aumentano in modo esponenziale – gli uomini e le donne normali vivono bene insieme.
Proprio perché sono convinta che ci sia bisogno e spazio per una rieducazione, non solo per i maschi, ma anche per le femmine, non posso, non possiamo arrenderci all’idea che non ci resta altro che aspettare la rivoluzione anticapitalista per attuare una rifondazione identitaria dei rispettivi ruoli nella visione orizzontale e paritaria del rapporto uomo-donna. Per rieducazione non deve intendersi un capovolgimento dei ruoli, come teme Dettori – la femminilizzazione dei maschi e la virilizzazione delle femmine – ma il riconoscimento rispettoso della propria specifica alterità Questo sarà possibile solo se, nella consapevolezza dei fattori patogeni che alimentano i motivi della conflittualità, saremo altrettanto consapevoli delle risorse umane culturali, etiche e civili di cui disponiamo.
Riassunto
Una riflessione di Anna Maria Guiderisegue sullo stesso argomento un articolo di Martino Dettori e il successivo intervento di A.M.Guideri